Evoluzione e cambiamento del cinema d'animazione
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Dopo l’exploit de Il Re Leone nel 1994 il buio. L’industria del cinema d’animazione sembrava aver smarrito la vena creativa e nemmeno il colosso Disney sembrava esimersi da tale crollo verticale. Il cerchio della vita di Simba, giudicato un capolavoro assoluto, aveva allo stesso tempo rappresentato il culmine di una generazione di cartoons e il pensionamento dell’animazione 2-D. Il pubblico, non solo i più giovani, dopo decenni di film monotematici e di rappresentazioni all’eccesso di melassa, di fatto non ne poteva più, né riusciva a digerire l’immancabile favoletta natalizia, assolutamente vietata ai maggiori di 3 anni. Poi, improvvisamente, la luce.
{mosimage} Dalla mente di quel genio che è John Lasseter nacque un progetto destinato a rivoluzionare l’animazione sul grande schermo. Lasseter, avvalendosi dell’allora sconosciuta Pixar Animations, realizzò per conto della Disney (in veste di casa di produzione) un film in cui la tecnologia digitale sopperiva alle mancanze della bidimensione. Era il 1996, anno in cui uscì nel mondo Toy Story. Le avventure del cowboy Woody e del ranger spaziale Buzz Lightyear hanno rappresentato immediatamente la novità, sia nell’immaginario collettivo di giovani e adulti, sia per il successo planetario che questo cartone animato ha ottenuto. Le grandi major, senza trascurare il valore quasi storico dei classici, individuarono nel prodotto digitale una nuova frontiera per gli incassi e cavalcarono la nuova ondata. Gli spettatori furono molto ricettivi e, pur senz’abbandonare i loro eroi dell’infanzia (chi può fare a meno di Paperino, di Crudelia Demon o del granchio Sebastian?), si spostarono gradualmente verso opere più coinvolgenti e meno drammatiche. Chi fino ad ora si è conteso la fetta di mercato, sono due dei maggiori studios d’animazione, l’immancabile Disney, portafoglio dei laboratori Pixar, e la Dreamworks del trio Geffen-Spielberg-Katzenberg, che negli ultimi anni si sono regolarmente dati appuntamento sul campo cinematografico di battaglia. Poi, eccezion fatta per lo strepitoso e letteralmente comico L’Era Glaciale, finanziato dalla 20th Century Fox, incassi ragguardevoli e grandi successi di critica e pubblico sono stati raggiunti da alcune tra le più belle pellicole d’animazione di sempre, Monster&Co. e Alla ricerca di Nemo. Il digitale ha fornito un nuovo modo di gestire i personaggi nel loro aspetto complessivo e nei loro movimenti, sostituendo le vecchie tavole a mano e addirittura la stop-motion, tecnica per cui si gira un cartone sequenza per sequenza. Esiste sempre lo storyboard, ma è divenuto solo il primo passaggio nell’elaborazione del software digitale. L’animazione del nuovo millennio ha però raggiunto definitivamente l’Olimpo nel 2001, quando l’irriverenza con le sembianze di un orco verde ha valicato i confini del politically correct dei cartoni animati, permettendosi di entrare in concorso a Cannes, uno dei più prestigiosi festival cinematografici, diventando il film-fenomeno di un’intera stagione. Shrek, grazie ai primi due capitoli di quella che sarà una trilogia, ha incarnato un’intera generazione di cartoons, divenendo il simbolo delle nuove esigenze. Esigenze, visive e sentimentali, che hanno reso un flop i pur meritevoli Koda fratello orso e Mucche alla riscossa, dando il via alla realizzazione di altri cartoni digitali, in cui storia, ambientazione e protagonisti sono il riflesso a fumetti del nostro modo di vivere o semplicemente della nostra famiglia (vedi Gli Incredibili). Il rubinetto di questa evoluzione ora è del tutto aperto, molti nuovi progetti sono in cantiere, a partire da Wall E della Pixar, e presto arriveranno nelle nostre sale. Non più come cartoni animati ovviamente, ma come veri e propri film d’animazione, che potranno far concorrenza ad un Harry Potter qualunque, con tutto il rispetto parlando.