Dopo Sms, passo indietro per il regista-attore Salemme
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Ci sono persone che si indispettiscono per una frase detta fuori luogo, uno slogan, un cartello stradale. No problem, direbbero in molti, si risolve facilmente. Invece, No problem è il titolo di un film. Con precisione l’ultima “fatica” di Vincenzo Salemme, che, dispiace dirlo, crolla a partire dalla locandina davanti alla banalità italica di certe commedie recenti, penalizzando i meno affezionati tra i suoi ammiratori, che con Sms avevano riscoperto il volto frizzante del attore campano, premiandolo al botteghino.
Plot semplice semplice quello di No problem, gag ultratelefonate che culminano nella recitazione da cabaret di Panariello in versione schizofrenico con sdoppiamento della personalità (lo zio di piccolo Mirco, personaggio scatenante della narrazione). Salemme guida la macchina da presa con manierismo teatrale, che appunto funziona su un palcoscenico meno sui set cinematografici, qui individuati tra studi televisivi, appartamenti di classi sociali differenti e i numerosi esterni offerti dalla città eterna, su cui indugiare per risaltare il copione. Curiosa la scelta nell’assegnazione dei ruoli, specie riguardo le inquietanti raffigurazioni di Oreste Lionello (che quasi “preferiamo” al Bagaglino) e signora, contrassegnati con la gretta meschineria umana di fronte alla pietà dell’animo, talmente caricati da risultare fasulli. Un attore di fiction televisiva in fase calante, Arturo Cremisi, si ritrova ad interpretare un padre nella vita “vera”, usando quest’espediente come trampolino pubblicitario per rilanciare la sua carriera agli occhi del pubblico. Memore della lezione di De Filippo, Salemme sceglie la risata per far riflettere sui miti della società attuale, ma se l’intento era lodevole il risultato contestabile. Poiché il film scorre senza lasciare tracce di morale, significativo che si sorrida col contagocce e che, salvate un paio di scene lodevoli imperniate sull’estro di Sergio Rubini (che impersona il manager un pò dislessico) nei suoi duetti proprio con Salemme, i propositi “socio-pedagogici” vengano appena accennati. Una commedia riuscita male insomma, in cui l’essenza femminile è relegata al lumicino delle interpretazioni da bambole fatalone anni ’70, vedere i ruoli di Aylin Prandi e Cecilia Capriotti per credere. Se Medusa sponsorizza film di una superficialità deprimente come questo, allora non c’è speranza per tutti, soprattutto per quelli che il cinema lo vogliono fare, hanno idee alla Molaioli ma non possiedono i mezzi economici per realizzarlo.