TONY STARK PIÙ CELEBRE CHE MAI
Il volto dietro la maschera, l’uomo alle spalle dell’eroe, la carne che in battaglia diventa metallo. IronMan è Tony Stark e non il contrario. Su questo concetto si snoda il secondo capitolo della saga dedicata al personaggio della Marvel e in cui il regista Jon Favreau si ritaglia un piccolo, ma decisivo ruolo d’attore.
Nulla a che vedere con l’istrionico magnetismo di sua maestà Robert Downey Jr., icona capace di impersonare una miscela di inchiostro e latta con tale maestria da farci credere che cose del genere accadano sul serio. Nel primo capitolo Stark diventava un giustiziere dichiarandosi al mondo, nel secondo la sua leggenda si accresce, ma rispettando sempre lo standard hollywoodiano. Ovvero, come per l’uomo ragno, l’umanità si fa prepotente costringendo l’emblema della “pace universale” a scendere dal piedistallo, restituendogli un’anima verso cui poter riversare odio e rancori, il volto dietro la maschera appunto.
Contrastato da tutti e tormentato da palladio e demoni interiori, Tony apre a nuove alleanze e vecchi amori (la soave Gwyneth “Pepper” Paltrow) per sconfiggere il male che avanza con le sembianze sciatte e incacchiate di Mickey Rourke versione russa. La regola che vuole ogni sequel più complesso e con maggiori effetti visivi è qui rispettata in parte, i combattimenti sono pochi e l’interiorità del personaggio è ciò che viene prediletta.
Perché il film diverte e appassiona, ma lascia quel senso di vertigine come se a certe altitudini fosse mancato ossigeno alla sceneggiatura, ciò dovuto anche all’inserimento nel copione di Nick Fury, figura necessaria per dar vita alla prossima pellicola sui Vendicatori di casa Marvel. La vitalità del plot sta nella colonna sonora e nella fragilità che nasconde una forza interiore, l’obsoleto e tossico reattore Arc sostituito nel petto con un nuovo elemento è la fonte da cui IronMan attinge e per cui l’umanità reclama il suo braccio armato.
Svanito l’effetto originalità, la regia è andata a pescare nel serbatoio dei sentimenti per animare il sornione Stark, coinvolgendo la platea ad un gioco di sequenze mozzafiato come la corsa sul circuito di Montecarlo, che nascondono qualche forzatura e valorizzano poco gli innesti di Scarlett Johansson e del pur bravissimo Sam Rockwell, antagonista per definizione. Il gioco delle parti però alla lunga non stufa e l’eroe può così riprendere il suo posto nell’armatura, celandosi dietro una maschera di ferro che ne rappresenta l’indole e una condivisa morale.
A cura di Simone Bracci