FUGA PER LA SCONFITTA CON VINCENT GALLO A VENEZIA
La laguna vista dallo stesso angolo offre scenari sempre diversi, gradazioni di colori e umori che si alternano nell’instancabile passaggio di accrediti. Venezia. Anno 67. La Mostra sussulta, si piega, ma non demorde, arranca e ammalia il pubblico presente. E’ lì da sempre, ma ogni volta è un toccasana, un passaggio d’obbligo tra spinte e sospiri.
Nitida come “Essential Killing”, graffiante come Ozon. Il film del regista polacco Jerzy Skolimowski è una rilettura della strada, l’impossibilità di una fuga ai limiti dell’irreale, un soldato afghano di cui non si conosce storia o motivazioni se non accennate in brevi flashback, sfugge alle milizie statunitensi.
La sua rincorsa verso la libertà prolungherà solo il suo sofferente tormento, la boccata d’aria mai raggiunta in una caverna piena d’acqua e sangue. Il protagonista, un sofferente, quasi muto e primitivo Vincent Gallo, è in lotta costante per la sua vita tra nemici (ovunque) e clima ostile.
Il viaggio nella disperazione di un uomo, la lotta per sopravvivere senza sapere a quale scopo, l’istinto primordiale che trasforma prede in cacciatori spietati lasciati soli, troppo soli contro il resto dell’universo. Fotografia limpida che trasmette distacco, colori luci e suoni vibranti sono la cornice essenziale dell’omicidio come unica “fonte” di salvezza, in cui nemmeno il bianco candore della neve salva un’anima macchiata e destinata alla sconfitta.
Tinte forti, campi lunghi e tempi dilatati però mettono a dura prova anche il più incallito degli spettatori, vittima-voluta dell’agonia del protagonista, ma allo stesso tempo incapace di apprendere i codici di lettura di una situazione tanto terribile quanto lontana dai nostri ritmi quotidiani.
di Simone Bracci (dal Lido)