INTERVISTA CON UNO DEGLI SCENEGGIATORI DELLA SERIE
Su Sky si è appena conclusa la nuova serie di Romanzo Criminale, considerata una delle poche serie tv made in Italy di successo. Abbiamo intervistato in esclusiva per voi Daniele Cesarano, uno dei quattro sceneggiatori, con il quale abbiamo parlato della serie, di cosa vuol dire essere sceneggiatori nel nostro paese e di quale potrebbe essere il futuro del cinema. Lo incontriamo nella sede della Luiss, dove al momento sta tenendo un corso. Scontata quindi la prima domanda da sottoporgli…
Francesco Buosi e Francesca Vennarucci: Più difficile trovare l’ispirazione per una buona sceneggiatura davanti ad un pc o tenere una lezione di fronte a 30 studenti?
Cesarano: Essere davanti ad un pc con un foglio bianco, perché fai i conti con una parte di te molto complicata: il tuo ego, la tua vanità, il tuo talento. Per me è molto più difficile scrivere che parlare, perché li sei solo con te stesso e alla fine quello che hai scritto se non ti piace parla comunque di te. La scrittura, qualunque cosa scrivi, è comunque molto soggettiva, rappresenta un momento in cui ogni volta metti in gioco il tuo talento.
F.B. F.V. Scrivere il male, quali spunti avere?
C. Noi non abbiamo scritto il male. Tu scrivi di alcuni comportamenti degli uomini, in cui c’è dentro di tutto: le passioni, le pulsioni, il bene ed il male. In particolare scrivere il male poi è sempre più facile perché scrivi di personaggi liberatori che hanno comportamenti trasgressivi rispetto ai codici sociali ed è liberatorio delle pulsioni represse, dei desideri nascosti che ciascuno di noi ha.
F.B. F.V. Seconda stagione ormai partita, troviamo una banda diversa: sembra come se i personaggi fossero cresciuti e iniziano a farsi domande su loro stessi; come mai questa scelta?
C. Innanzitutto la serie essendo tratta da un libro, ne trae ovviamente spunto. Dalla morte del Libano in poi il racconto diventa un bagno di sangue, la storia rischiava quindi di diventare ripetitiva. A noi serviva trovare in questa escalation di violenza un elemento fondamentale. Morto il papà, diventi grandi: i fratelli che rimangono litigano, piangono, si disperano per la morte del padre, che nella storia di cui narriamo loro chiamano Re, però diventano adulti.
F.B. F.V. Si discute molto sull’uso del dialetto, siete in 4 a lavorare alla sceneggiatura:tutti romani?
C. No, in realtà siamo solamente in due, gli altri sono di Terni. L’utilizzo della lingua è meno particolare di quello che sembra. Noi abbiamo deciso di usare non il dialetto ma un gergo. Il dialetto romano, non è quello. L’operazione è stata quella di prendere i film degli anni 70’, degli eroi del cinema italiano come per esempio Er Monnezza, dove si parlava un romanesco inventato, ma molto efficace perché si era ibridato con il western all’italiana, ossia una riga una sentenza. Ci sembrava utile partire da qui per dare il sapore di quegli anni e perché risultava molto efficace con la versione un po’ “cazzona” della banda.
F.B. F.V. Per un uso credibile del romano quanto avevo attinto dal film?
C. L’idea di realizzare la serie nasce da Sky e Cattleya per la sensazione di compressione del racconto nel film. Il libro da cui è tratto è così ricco che in un adattamento di due ore e mezza non è riuscito a restituirne la sua interezza. L’idea è nata per questo motivo, per approfondire tutto quello che non era nel film. Dopo di che noi scrittori abbiamo partorito un soggetto in cui la maggior parte del materiale non era né nel film né nel libro. Sky ha molto apprezzato e li ha chiamati missing files, immaginando che ci fosse del materiale nascosto, nei cassetti dello scrittore che ci avesse fornito mentre in realtà si trattava di materiale molto inventato da noi sui personaggi scritti da De Cataldo. La relazione con il film è stata subito di distanza. Essendo una serie televisiva, quindi con un altro linguaggio, e non potendo permettersi né gli attori né il glamour produttivo del film è stato deciso di dare un taglio diverso. Il film di per sé è molto bello per cui non vi era motivo di competere su quel terreno lì, dovevamo trovare un terreno nostro su cui rileggere il libro.
F.B. F.V. La serialità televisiva è l’unico mezzo attraverso cui oggi si può osare di più? L’unico dove si sperimenta qualcosa di innovativo?
C.Io sono un cultore della serialità televisiva, penso sia il linguaggio di oggi al contrario del cinema. Per me è un dato acquisito non soltanto in Italia, ma nel mondo. Tutta la sperimentazione linguistica non avviene più al cinema da decenni. Per mille motivi, ma la cosa più interessante il linguaggio di oggi viene raccontato al meglio proprio dalle serie tv, in particolare quelle americane. Prima era l’opera poi c’è stato il teatro e dopo ancora il cinema. Cambia con i tempi il modo in cui racconti le storie. La narrazione cambia con i mezzi attraverso cui la racconti. Il linguaggio di oggi è nella televisione, tra poco ci sarà il web e non si può sapere cosa accadrà.
F.B. F.V. Cosa ti piace di più di Romanzo Criminale?
C. Mi è piaciuto scriverlo. Ed è una cosa rara. Si tratta di uno dei pochi prodotti che oltre a scrivere ho anche voglia di vedere. Vi è sempre un gap tra quello che vorresti raccontare e quello che ti fanno raccontare o puoi raccontare. Per Romanzo criminale questo gap non c’è. Quando torno a casa lo vedo volentieri in tv. Mi fa piacere tornare a casa e guardalo in televisione.
F.B. F.V Qual’è il personaggio che ti piace di più e che magari ti sei sbizzarrito o divertito a dare la parola?
C. Io credo che ci sia un personaggio più bello di tutti, che è Dandy. Un personaggio che ha tre dimensioni. Gli altri sono sì interessanti, ma meno tridimensionali. Dandy è un personaggio che non avevi mai visto, con una dose di ambiguità, imprevedibilità. Non è però quello più facile per cui scrivere le battute proprio per questo motivo. Pur se allo stesso tempo ha rappresentato una sfida ulteriore.
di Francesco Buosi e…