SEMPLICE DESCRIZIONE: BUONE LE INTENZIONI, GELIDO IL RISULTATO
Portare sul grande schermo un romanzo a volte può risultare impossibile. Il caso lampante è “Non lasciarmi” di Mark Romanek, che nonostante gli attori, Keira Knightley, Carey Mulligan, Andrew Garfield, Charlotte Rampling e Sally Hawkins, non riesce a mostrare per immagini il meraviglioso e drammatico universo creato da Kazuo Ishiguro nel suo romanzo.
La storia è molto interessante: si tratta di tre giovani ragazzi che hanno passato buona parte della loro vita in un istituto, che sono destinati nella loro vita ad essere donatori di organi; insomma una vita segnata fin dalla nascita, che finirà nel momento in cui i ragazzi non serviranno più.
Leggendo la sinossi, ovviamente l’impressione è di stare per assistere ad una vicenda struggente, pieno di lacrime e di un inevitabile singhiozzo finale. Se vi aspettate tutto questo rimarrete profondamente delusi. La freddezza dei personaggi, frigidi nei loro sentimenti nelle loro modo di agire, lasciano lo spettatore di sasso. Non si può provare empatia per dei ventenni o dei bambini, che sanno che cosa li aspetta nel futuro (la morte!) e che non cercano di ribellarsi, ma solo un rinvio di qualche anno perché si amano. A che serve prolungare l’attesa di una fine comunque certa? Questa domanda purtroppo non trova risposta.
La storia per assurdo è ben narrata e la fotografia è gelida come il cuore dei protagonisti, ma considerando che l’assunto di base non ha senso (un traffico di organi legalizzato dal governo di cui tutti i cittadini sono consapevoli), non si può che rimanere perplessi, di fronte a quest’opera. Possibile che una società possa accettare che si nasca per morire in modo così barbaro? Possibile che gli stessi donatori tutti accettino con serena rassegnazione cristiana il proprio destino?
Si parla di decine di istituti e migliaia di persone nate con l’unico fine di servire alla ricerca medica, in u modo in cui non esistono più i tumori, la sclerosi multipla e le malattie genetiche solo grazie a questi donatori di organi: già fantascienza di per sé. Considerate poi che il racconto è retroattivo (ambientato tra gli anni ’80 e ‘90) e non riuscirete davvero a trovare un senso.