C’È chi dice no: recensione film

TEMA FORTE, MA IL DIDASCALISMO FA MALE E MANCA LA FEROCIA

La nuova fatica di Giambattista Avellino (“La matassa”) tratta un tema attuale che riguarda pressappoco tutti. Ma ci sono modi e modi di trattare argomenti scottanti come questo. Tre ex-compagni di classe si ritrovano a una cena ognuno coi propri problemi: Max, Samuele e Irma sono onesti lavoratori che hanno visto i propri posti di lavoro soffiati dall’ennesimo ‘figlio di’, ‘marito di’ e ‘compagna di’. Insomma i soliti raccomandati. Decidono di vendicarsi dando vita a un vero e proprio movimento che comincia pian piano a diffondersi per tutta Firenze.

Insomma le intenzioni sono più che promettenti, eppure chi ha visto il trailer avverte la sensazione che il film possa essere una ‘pecionata’–come si dice a Roma-. Ad ogni modo si va’ al cinema con la speranza di trovare un modo intelligente per farsi due risate. Ma purtroppo i momenti esilaranti sono assenti e anche le battute che fanno scattare il sorriso si contano sulle dita di una mano. La cosa che più lascia insoddisfatti è il modo in cui viene trattato il tema della raccomandazione: fin dalla prima scena in cui Max-Argentero viene licenziato si ha l’impressione di assistere a una storia troppo preparata a tavolino per emozionare veramente; è una scena a cui abbiamo assistito mille volte, nel cinema italiano e non, ma qui non sentiamo l’elemento di ‘vita vissuta’.

Difatti i personaggi sono talmente stereotipati che l’empatia da parte dello spettatore con almeno uno di loro è quasi impossibile. Dopo il doppiaggio toscano di Bruno Ganz de “La fine è il mio inizio”, abbiamo poi un altro caso di bravi attori che non riescono a risultare credibili con questo dialetto: perfino la Cortellesi, bravissima nel recente successo “Nessuno mi puo’ giudicare” non risulta a suo agio quando si arrabbia pronunciando la H al posto della C. Anche l’affiatamento tra i tre protagonisti sembra assente e solo l’ex veejay di MTV Paolo Ruffini riesce a risultare almeno simpatico in un paio di scene. La sceneggiatura piatta riesce a graffiare soltanto nella scena finale, ma è davvero troppo poco. E non basta l’inserimento della bellissima “Canzone della rivoluzione” dei Baustelle a risollevare il nostro giudizio. Perché a questo film noi avevamo detto No fin dall’inizio.

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