FUMETTONE SCANZONATO E SCORRETTO, DIVERTE MOLTO SPECIE ALL’INIZIO
Quando si è arrabbiati per davvero, ci si può comportare spregiudicatamente, superare i limiti e abbattere ogni regola, moralità e codice d’onore? “Drive Angry” non vuole minimamente dare risposta a questa domanda fatidica, ma pone il suo protagonista ultra trash, quasi in concorrenza all’ultimo Danny Trejo, su una roboante vettura d’epoca, a caccia della setta che gli ha sterminato la famiglia. Non è un personaggio qualunque, è un rifiuto umano cacciato all’inferno che è scappato per lultima missione: ottenere vendetta.
Scanzonato, pulp & pop, il “primo tempo” del film di Patrick Lussier è uno scanzonato racconto citazionista, che si fa beffe del 3D e diverte col suo turbinio di scorrettezze verbali e fisiche. Il famoso parossismo della violenza, qui sviscerato come un arma d’intrattenimento bella carica. Come la pistolona sovrannaturale, con la quale Milton-Nicolas Cage insegue i suoi demoni, accompagnato dalla scapestrata e super sexy pupa Amber Heard, a loro volta inseguiti dal villain diabolico per eccellenza: il contabile William Fichtner, eccezionale nella parte.
Dopo un ottima parte iniziale, veloce e irriverente, Lussier perde un attimo la mano in cabina di regia e la storia, specie il racconto pregresso della genesi di Milton, tossicchia, si ingolfa e riparte a stento.
Nonostante gli effettacci e il look scapestrato da “Terminator col toupet” di Cage non inficino sulla “bontà cattiva” dell’intero plot, “Drive Angry” diverte anche quando mostra la corda, quando le battute del copione sono spudoratamente artefatte e lo scontro tra cattivi e più cattivi diventa un dato di fatto. Ovvero l’inevitabile teatro di violenza e sparatorie che fanno da sipario al finale di tacca moralista.
Potremmo sfruttare l’intero vocabolario di aggettivi dedicati al circo messo in piedi dalla produzione, ma ci basta usare divertente per descrivere la rincorsa del galeotto infernale, tra giri a vuoto di sceneggiatura, ammiccamenti vari alle storie on the road, inseguimenti e cat fight, il tutto condito da uno humour nero diffuso e fuorviante.
Proprio nell’incertezza tra fumettone warholiano e zampata autoriale tarantinesca sta il punto debole della pellicola, che per tutto il resto colpisce il bersaglio nel suo intento narrativo di pura exploitation cinematografica. Non parabola fantasy, quindi, ma fracassone messaggio universale: chiunque la merita una seconda chance, che diavolo!