Hong kong express: retro-recensione

UN CAPOLAVORO NATO PER CASO

Quarta pellicola di Wong Kar-wai, “Hong Kong Express” è la perla con la quale il cineasta cinese si presenta al mondo. Semisconosciuto fino al 1994, con questo film il regista si fa conoscere al grande pubblico d’Occidente, regalando al Cinema una summa della sua filosofia sull’uomo moderno, attraverso i topòi che hanno sempre accompagnato la sua filmografia.

Questa pellicola nasce durante una lunga pausa delle riprese del travagliato “Ashes of Time” senza una sceneggiatura ben precisa e solo con l’ausilio di una semplice camera a spalla: anche perché quando un autore parla al cuore dei sentimenti umani non ha bisogno di utilizzare (inutili) effetti speciali. Eppure qualche tecnica per alienare i suoi personaggi, nella caotica, colorata al neon, sudata e lussureggiante Hong Kong, il regista la trova: ad esempio congelando i suoi protagonisti, lasciandoli soli ed immersi nei loro pensieri, mostrando un mondo che attorno a loro si muove in fretta, veloce, illogicamente.

Come nel primo lavoro, “As tears go by”, le due storie, che si intrecciano in modo debole ma delicato, hanno come personaggi principali due poliziotti (Tony Leung e Takeshi Kaneshiro) e le loro possibili amanti (Faye Wong e Brigitte Lin), con l’amore, come unico fulcro comune delle due storie; amore appena consumato, che rimane un sogno da concludere e mai consumato fino in fondo. Ciò che riesce a creare il regista è una sensazione di malinconico dolore nella nevrosi cittadina, a cui i quattro personaggi non riescono a dare sfogo, se non nella loro intimità e con le loro maniacali abitudini.

Grande importanza è data, come sempre, alla colonna sonora. Il desiderio di un sogno americano, che alla fine andrà deluso, sono affidate a California Dreamin’ dei Mamas & Papas, ma come in “Days of Being Wild” il regista riadatta le suggestioni occidentali, concedendosi una versione cinese di una canzone all’epoca popolarissima: Dream dei Cramberries, re-interpretata da Faye Wong. È superfluo elogiare la sempre perfetta fotografia di Christopher Doyle, qui affiancato da Keung Lau Wei.

La passione per il finale aperto, a cui il regista ha abituato i suoi spettatori, è presente, ancora una volta a sottolineare l’indeterminatezza della condizione umana. Ma con questo film Wong Kar-wai si spinge oltre. Addirittura accenna in “Hong Kong Express” la storia che racconterà nel suo seguente film: “Angeli perduti”, la cui recensione sarà (puntuale!) online sabato prossimo su Film4Life.

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