ANGELOPOULOS RACCONTA UN “DRAMMONE” DEL SECOLO SCORSO
C’è di tutto, anzi c’è troppo, nell’ultimo lavoro del mitico regista Greco Theo Angelopoulos, classe 1935. “La polvere del tempo”, che arriva nei cinema italiani due anni dopo essere stato presentato al festival di Berlino edizione 59 anno 2009, è un film drammatico che racconta volutamente il Novecento, attraverso un linguaggio e una regia che ormai appartengono al secolo scorso.
Come secondo capitolo della trilogia annunciata sul tempo e sulla memoria (il capostipite è “La sorgente del fiume”), il regista ci accompagna in un triangolo amoroso che si dilata nel tempo, dalla gioventù dei protagonisti, fino alla loro anzianità. A. (Willem Dafoe) regista cinquantenne vuole raccontare attraverso un film la storia dei suoi genitori, Spyros e Eleni. La storia d’amore di questi due emigranti greci, è candidata da tutti gli eventi storici che hanno fatto il Novecento: la II Guerra Mondiale li separa e costringe Spyros (Michel Piccoli) a partire per gli Stati Uniti; in seguito alla Guerra Civile in Grecia, Eleni si ritrova in Siberia con altri esiliati politici; la Guerra in Vietnam costringe Spyros a trasferirsi in Canada, mentre la caduta del Muro di Berlino segnerà un cambiamento profondo nella sua esistenza. Come il secolo che hanno vissuto i protagonisti, il film di Angelopoulos è pieno di contraddizioni ed è espressamente criptico in molte parti. Del resto un tratto distintivo della poetica dell’autore è la visione immaginaria che il subconscio crea in ognuno di noi e che ci mostra una realtà diversa da quella che è.
Il film è decisamente difficile da vedere: in molti tratti la narrazione si perde in troppa filosofia spicciola ed elucubrazioni sul senso dell’intera esistenza umana che scadono nella noia. Del resto la storia è solo un pretesto che serve al regista per presentare il suo conto (salato!) all’umanità e a quella generazione vissuta nel dopoguerra che ha creduto di poter creare un mondo migliore. Meno bello dei precendenti lavori, ma comunque è sempre un film di Angelopoulos che va visto e commentato, soprattutto perché ci sono giovani distribuzioni che hanno davvero il coraggio di portare in sala pellicole “alternative” alle logiche dello show business.