Senza arte nÉ parte: recensione

NON LASCIA IL SEGNO, MA DIVERTE GRAZIE ALL’OTTIMO CAST

Tre precari quarantenni del Salento sono assunti come guardiani di una collezione di opere d’arte contemporanea. Dopo aver rotto un uovo di Piero Manzoni, riescono dopo vari tentativi a farne una copia perfetta: da qui ai tre personaggi viene l’idea di continuare un ‘business’ a loro ignoto, quello della contraffazione delle opere d’arte, che li porterà a Roma. Ce la faranno con tutti gli squali che girano nel settore?

La pellicola di Giovanni Albanese (non un fratello di Antonio) diverte, mantenendo quello stile di regia anonimo e televisivo che ha fatto la fortuna delle più recenti commedie italiane: solo all’inizio ci sono delle inquadrature originali che riprendono i congegni meccanizzati del pastificio Tammaro, attorno a cui ruotano i destini dei personaggi, poi la messa in scena sfortunatamente si appiattisce. La sceneggiatura al contrario è coinvolgente e non cade mai nel drammatico / patetico come fanno certi titoli del genere: anzi l’obiettivo degli sceneggiatori è di creare un collage di situazioni simpatiche, talvolta esilaranti- come la scena svolta nella chiesa di Santa Cecilia- che tengano sempre desta l’attenzione dello spettatore. C’è pure una critica che i creatori vogliono volgere a una certa fascia sociale: i truffatori protagonisti infatti sono solo gli ultimi arrivati di una catena ormai collaudata da tempo, ma tutto ciò è appena accennato nel finale che arriva troppo presto, smorzando quel senso di attesa che c’era stato fino a quel momento.

Un film del genere ad ogni modo brilla per il suo cast: Salemme, che personalmente non mi fa impazzire, lavora bene sul ruolo del padre di famiglia in cerca di lavoro senza strafare, Battiston ripropone il ruolo del grasso dal cuore d’oro con efficacia e Donatella Finocchiaro diverte nel ruolo della donna in carriera che si finge ‘femme fatale’. Spicca Ninni Bruschetta, il Duccio di “Boris”,nel ruolo del gallerista, villain perfetto a cui gli sceneggiatori avrebbero dovuto dedicare più spazio nell’arco della storia.

All’uscita dalla sala c’è chi dice “Film da 6 politico, eh?”. Già. Se registi e sceneggiatori oggi fossero capaci di graffiare un po’ di più, in questo modo si potrebbe mantenere alto il nome della commedia all’italiana di un tempo.

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