Arthur: recensione

LA FABBRICA DI HOLLYWOOD METTE A SEGNO UN ALTRO INUTILE REMAKE

Pochi in Italia conosceranno Russell Brand, una delle nuove leve della comicità inglese apprezzata anche oltreoceano. Apparso nell’esilarante “Forgetting Sarah Marshall – Non mi scaricare” e nello shakespeariano “The Tempest” di Julie Taymor, misteriosamente ancora inedito da noi, il fidanzatino di Katie Perry (!) approda al cinema per la prima volta come protagonista assoluto in questo remake della fortunata commedia anni ’80 con Dudley Moore e Liza Minnelli.

Arthur è un miliardario non ancora maturo che viene costretto dalla madre a fare un matrimonio d’interesse esclusivamente economico con la figlia di un importante imprenditore. Le cose cominciano a peggiorare, quando il protagonista incontra una guida turistica fascinosa e ribelle e se ne innamora, andando contro il volere della propria azienda e della madre tirannica.

“Arthur” tratta una tematica molto cara a noi italiani: la sindrome di Peter Pan. Al protagonista infatti piace essere coccolato dalla propria tata (una strepitosa Helen Mirren) e partecipare a eccentriche feste miliardarie travestito da Batman, guidare svariati tipi d’auto compresa una DeLorean di ‘zemeckisiana’ memoria e naturalmente spassarsela con quante più donne possibile, evitando ogni legame affettivo. Ovviamente l’incontro con la bionda di turno (Greta Gerwig) lo porterà di fronte a scelte che gli faranno conquistare una maggiore consapevolezza di sé e del proprio egoismo, a cui forse ora puo’ rimediare. Sembra un film di Muccino con l’acceleratore premuto a mille, ma purtroppo (o per fortuna?) non è così: siamo di fronte a una commedia blanda, già vista e soprattutto noiosa. Perfino Russell Brand, di solito scatenato e irriverente, è qui tenuto alle strette da una sceneggiatura piatta e senza gag di particolare rilievo: ovviamente le più divertenti si erano già viste nel trailer e anche nel corso della pellicola –di oltre 2 ore, troppe per un film del genere- durano pochi secondi. A tratti si cade nella noia e non bastano grandi attori in piccole parti, come la Mirren e il ritrovato Nick Nolte, a salvare questo marasma generale. Perfino la Gerwig si trova spaesata a rifare un ruolo visto già mille volte (il nome Meg Ryan vi dice niente?) e si spera per il suo futuro che continui a girare pellicole ‘indie’ come il sottovalutato “Greenberg” che queste insipide commedie commerciali.

Una pellicola prodotta a tavolino per allargare il numero dei fan di Russell Brand: peccato che, visti anche i numeri al botteghino USA, la missione non sia stata superata.

PS: A luglio dovrebbe uscire finalmente lo spin-off di “Non mi scaricare” ovvero “In viaggio con una rockstar” in cui la star inglese divide la scena con Jonah “Superbad” Hill. Questo titolo promette decisamente meglio. Vi terremo aggiornati…

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