Venezia 2011: siglo ng pagluluwal (century of birthing) di lav diaz partecipa ad orizzonti

MARIAN ILMESTYS (THE ANNUNCIATION) E MONKEY SANDWICH SONO I DUE FILM DI CHIUSURA DELLA SEZIONE

Siglo ng pagluluwal (Century of Birthing), il nuovo film di Lav Diaz, il pluripremiato (anche a Venezia) regista considerato il padre del Nuovissimo Cinema Filippino, si aggiunge al programma della sezione Orizzonti della 68. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia (31 agosto – 10 settembre 2011), diretta da Marco Mueller e organizzata dalla Biennale presieduta da Paolo Baratta.

Per chiudere il programma di Orizzonti, sabato 10 settembre, invece, sono state scelte due opere che muovono dalla commistione di linguaggi espressivi diversi:

Marian Ilmestys (The Annunciation), rielaborazione cinema di elementi di una video-installazione dell’artista visiva e regista finlandese Eija-Liisa Ahtila (quest’anno nella Giuria del Concorso di Venezia 68)

Monkey Sandwich, backstage immaginario di una messa in scena teatrale che dialoga con la danza, realizzato dal regista, coreografo, performer e fotografo belga Wim Vandekeybus.

Siglo ng pagluluwal (Century of Birthing), che sarà presentato il 10 settembre in prima mondiale in Orizzonti Eventi, intende essere una meditazione sui ruoli dell’artista, e racconta due storie apparentemente differenti: l’una focalizzata su un regista che ha speso anni a lavorare sulla sua ultima opera, e l’altra su un leader di culto cristiano in una regione rurale.

Siglo ng pagluluwal (Century of Birthing) segna il ritorno a Venezia di Lav Diaz, nella Giuria Orizzonti lo scorso anno e già premiato due volte in Orizzonti, nel 2008 con Melancholia (Gran Premio Orizzonti), e nel 2007 con Kagadanan sa banwaan ning mga engkanto (Death in the Land of Encantos, Menzione Speciale).

Nel film, Lav Diaz fa dire a Homer, il regista protagonista del film: “Con il cinema facciamo rivivere i nostri ricordi. Con il cinema possiamo perfino reinventare quei ricordi. Con il cinema ricordiamo il passato, il presente e il futuro… adesso. Grazie al cinema ricorderemo il mondo“. Poi aggiunge: “Cinema significa esistere“».

Marian Ilmestys (The Annunciation) dell’artista visiva e regista finlandese Eija-Liisa Ahtila reinterpreta attraverso le immagini in movimento uno dei motivi principali dell’iconografia cristiana, l’Annunciazione. L’opera attinge dal Vangelo di Luca (1:26-38) e dai numerosi dipinti con i quali gli artisti nel corso del tempo hanno reso la loro visione dell’evento evangelico. Questa versione dell’Annunciazione è ambientata nel presente. L’opera consiste in un’effettiva ricostruzione dell’evento, basata sui materiali raccolti durante i preparativi per le riprese. Il film è stato girato in gran parte durante l’inverno gelido del 2010 nell’innevata riserva naturale di Aulanko, nel sud della Finlandia. Il set riproduceva l’atelier di un artista e la scena dell’Annunciazione. Tutti gli attori umani, a parte due, sono non professionisti, per la maggior parte beneficiari dell’associazione caritatevole Helsinki Deaconess Institute. Gli attori animali sono un corvo ammaestrato, due asini comuni e un gruppo di piccioni viaggiatori da allevamento. Seppur tratti da un testo esistente, gli eventi, i ruoli e i dialoghi sono stati adattati durante le riprese alla presenza scenica dei singoli attori. Eija-Liisa Ahtila parla così della sua opera: “Quando si avvia un progetto, e necessario mettersi in sintonia con qualcosa che ancora non esiste – almeno per quel che ne sappiamo – e scriverne la storia. Ma come si fa a sapere di cosa parlare, se non ci e già familiare? E cosa ne sappiamo in quella fase iniziale? Come dare vita a questa cosa? Come avvicinarci e intraprendere un dialogo – su quale argomento poi e in che lingua? L’approccio istintivo e quello di muoversi su un terreno noto e familiare, a volte con tale forza e precisione da osservare le cose da un solo punto di vista e in un’unica direzione, tutto in perfetto ordine – qualcosa davanti, qualcos’altro dietro e cosi via – in prospettiva. Ma ciò che e noto può rispondere ai criteri necessari per la descrizione di un miracolo? Ci può travolgere di stupore, se lo conosciamo cosi bene e a fondo? Cos’altro possiamo vederci? Può subentrare tuttavia un interrogativo che non ci e chiaro. O un’immagine che sconcerta la mente. Sono in mostra da qualche parte, inattesa di essere scoperti. Non resta che vedere chi si ferma ad osservarli. E come li osserva”.

Il coreografo Wim Vandekeybus usa frequentemente film e video nei suoi spettacoli, ma il desiderio di raccontare storie lo ha portato irresistibilmente verso il cinema. Il lungometraggio Monkey Sandwich è il suo primo progetto che usa dialoghi, un trampolino di lancio verso il film progettato a lungo Galloping Mind. Monkey Sandwich è un viaggio affascinante e nell’ambiziosa fusione di film e performance dal vivo, uno spettacolo che miscela musica, danza, teatro e cinema. Il film gioca una parte notevole in Monkey Sandwich. Tuttavia, l’intera scena danza. Sul palcoscenico vediamo il giovane artista Damien Chapelle. In un’ ingegnosa interazione con il film, l’attore si muove, oscillando fra solitudine e felicità, in un processo teso a creare un mondo tutto suo. A volte è euforico, a volte vulnerabile, indifeso e indagatore, proprio come i personaggi proiettati dalla sua mente, con i quali tenta invano di entrare in contatto. Monkey Sandwich è un groviglio di racconti. Dalla spassosa scena di apertura sulle bugie del teatro e la follia della direzione, temi universali come la solitudine e la perdita vengono portati a galla. Vandekeybus intreccia tutto questo magistralmente in un affascinante viaggio e riesce nel suo ambizioso intento di fondere film e spettacolo dal vivo. Wim Vandekeybus ha dichiarato a proposito di Monkey Sandwich: “E’ un film che parla di errori, perdite e colpe. Un elogio all’arte del racconto che intreccia varie leggende in un’unica storia sulla catastrofe provocata da un errore umano. La gente racconta storie per spiegarne altre, usando un tipo di comunicazione che suggerisce i fatti: logici oppure no, divertenti o spaventosi, crudeli o moralizzanti, veri o inventati. E’ una sorta di usanza popolare post-industriale per rispondere alle paure e ai desideri universali. Come facevano in passato i trovatori con le loro canzoni, cosi la gente inventa storie per esprimere ciò che ha dentro. Monkey Sandwich e la storia di un uomo alle prese con le conseguenze delle sue azioni, spesso incapace di esprimere ciò che vorrebbe.

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