OPERA NON FACILE, MA DI GRANDE VALORE META-CINEMATOGRAFICO
Amir Naderi non è un cineasta conosciuto in Italia. Regista iraniano, trapiantato a New York, non fa’ film per un grande pubblico, ma alcune delle sue maggiori opere da noi si sono viste su Fuori Orario. Tra l’altro il creatore della trasmissione Enrico Ghezzi è venuto in sala Darsena prima dell’inizio del film per abbracciare uno dei suoi ‘maestri’ preferiti. Poi le luci si spengono, la sala è piena e la sezione “Orizzonti” del festival è pronta a iniziare.
Svolto a Tokyo, “Cut” vede un regista fallito alle prese con un grosso debito da pagare alla yakuza e per ripagarlo decide di sfruttare non la propria creatività, ma i propri istinti autodistruttivi: eppure la passione per il cinema può essere un’ancora di salvezza.
Naderi realizza un’opera non facile, che più volte si avvicina alla video-arte più che alla fiction semplice, ma comunque ricca di elementi di interesse e con alcuni punti di convergenza con un certo “Fight Club” di fincheriana memoria: ma Naderi è lontano dal cinema statunitense. Si concentra su piccole cose e sembra ripeterle fino all’esasperazione: esempio lampante è il monologo del protagonista, che manda alla berlina il cinema di oggi che non insegue propositi artistici come facevano i maestri del passato, ripetuto almeno per 2-3 volte in situazioni diverse e le scene in cui questo si reca in pellegrinaggio al cimitero a visitare le tombe dei propri maestri.
Inoltre i personaggi di contorno si muovono a fatica, sembrano automi solitari (e Naderi li fotografa ispirandosi alle pitture di Hopper) e mostrano la propria umanità soltanto quando devono tirar fuori la loro violenza più insita. “Cut” è dunque un film violento, ‘tosto’, che tratta di un mondo in cui opposti ai cattivi non ci sono i buoni, ma i deboli: eppure il personaggio principale trova un elemento di speranza nella propria passione che lo aiuterà anche nei momenti più bui e sarà un motivo per trovare la sfrontatezza nei confronti di chi vuole sopraffarlo. E in un mondo del genere è già una vittoria.