Shame: recensione film

DRAMMA ‘BOLLENTE’ CON IL SUPERBO NEO-DIVO FASSBENDER

Ci vuole un po’ per digerire “Shame”, film sulla sesso-mania con alcune tra le immagini più sconvolgenti che Venezia ha visto in questi giorni. La storia gira attorno a uno yuppie di New York che non riesce ad avere una propria vita sentimentale e divide le proprie giornate tra incontri occasionali, lavoro in ufficio e il rapporto con la sorella con cui condivide i pochi momenti di tenerezza delle giornate, anche se la rabbia è sempre in agguato.

Chi si aspetterà qualcosa di effervescente e umoristico in stile “Californication” rimarrà deluso, perché la pellicola di Steve McQueen (omonimo) è diretta e straziante come poche cose viste negli ultimi tempi: a testimonianza di ciò basterebbero i primi –e intensissimi -cinque minuti senza dialoghi, scanditi dalle potenti musiche di Harry Escott.

“Shame” si concentra sulla vita di un uomo dalla bellezza statuaria e possente, ma pieno di debolezze interiori che lo spingono a una freddezza emotiva, che talvolta lo porta a scatenati attacchi d’ira. Solo in un momento ascoltando la bellissima voce della sorella –un’affascinante Carey Mulligan- in un locale jazz riesce a commuoversi, ma è roba di un attimo. Fassbender in questo ruolo è perfetto e riesce con il regista McQueen a creare un’autentica sinergia che porta il film di diritto tra le tre opere più belle del festival: un connubio così forte si era visto soltanto nel 2008 nel film di Arronofsky interpretato da un superbo Mickey Rourke “The wrestler” meritatissimo Leone d’oro. Fate un attimo due calcoli. Io intanto incrocio le dita.

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