Venezia 2011: himizu – recensione

I REITTI POST TERREMOTO RACCONTATI DA SION SONO

Sul terremoto dell’undici marzo scorso in Giappone dal punto di vista della cronaca giornalistica si è detto di tutto, quello che ancora mancava era l’interpretazione poetica, cinematograficamente parlando, della tragedia che ha sconvolto il paese del Sol Levante. Presentato in concorso alla 68esima Mostra Internazionale del Film di Venezia, “Himizu” dell’onirico regista Sion Sono racconta proprio le vicende che stanno vivendo le persone che in quel drammatico giorno hanno perso ogni cosa: casa, lavoro, amici, familiari, amore… Ovviamente, il regista affronta il tema in maniera conforme alla sua idea di cinema, mostrando personaggi eccessivi: troppo silenziosi o troppo isterici, troppo altruisti o troppo egoisti. Del resto Sono è famoso al grande pubblico per il film-scandalo Suicide Club del 2002 ed anche con questo ultimo lavoro il regista tende a spiazzare il suo spettatore: momenti tristi e carichi di angoscia, presto sostituiti dall’assurdità di situazioni grottesche ed oniriche. Il protagonista di “Himizu” è un giovane quattordicenne, Sumida, che ha solo un sogno quello di essere un adulto rispettabile. Come la piccola talpa dal nome “himizu”, Sumida vorrebbe vivere tranquillo, nascosto agli occhi degli altri, perché non avendo sogni ambiziosi, ha solo il desiderio di avere una vita normale, venendo da una realtà tutt’altro che tranquilla con un padre ubriacone e violento e la madre che lo abbandona per fuggire con il suo nuovo amore. Attorno al ragazzo, che vive noleggiando barche su un fiume, si muovono dei personaggi improbabili, folli, disperati, emarginati in una società che cerca di ritrovare a poco a poco la normalità dopo la tragedia. La pellicola è una metafora della fragilità della condizione umana e della disperata ricerca di rialzarsi, dopo che le circostante hanno messo K.O. ogni speranza per un futuro migliore. Nell’onirico universo di Sion Sono i personaggi sono tutti instabili e destabilizzanti, figure allegoriche che portano dentro di loro una carica di sofferenza talmente grande che è davvero impossibile restare indifferenti. Quello che inoltre sconvolge, tralasciando l’analisi vera e propria del film, è il fatto che la pellicola arriva al Lido di Venezia dopo appena 5 mesi dalla sciagura, facendo vedere la forza di un intera nazione che nonostante i problemi riesce sempre a continuare a sopravvivere, puntando le proprie speranze sulle nuove generazioni, con un senso filosofico del concetto di collettività veramente encomiabile.

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