Venezia 2011: ruggine – recensione

L’ITALIA DEL DRAMMA ANNOIA E NON CONVINCE

Forse dobbiamo farcene tutti una ragione: in Italia non sappiamo più affrontare (al cinema) il drammatico. Non riusciamo più a realizzare, produrre, recitare un cinema che sia diverso da tutte le sfaccettature della commedia. Ormai da anni l’industria della celluloide del made in Italy riesce a propinare agli spettatori solo qualche divertente filmetto da riderci su, mentre per quanto riguarda gli altri registi stilistici è “arrugginita”. Quando poi qualcuno cerca di uscire da questo schema per proporre qualcosa di nuovo, un film drammatico ad esempio, ci troviamo di fronte, a malincuore, a dover scrivere di un risultato alquanto deludente. È il caso di “Ruggine” di Daniele Gaglione, presentato alla Mostra del cinema di Venezia 2011 nella sezione “Giornate degli Autori”. La pellicola, nonostante la presenza di tre dei migliori attori italiani sulla piazza (Filippo Timi, Valeria Solarino, Stefano Accorsi) e nonostante gli eventi drammatici narrati, non decolla mai e lo spettatore non trova la giusta empatia con i diversi personaggi, rischiando più volte in sala di annoiarsi. La scelta (opinabile) fatta a livello di sceneggiatura è quella di raccontare la storia degli stessi protagonisti su due livelli temporali diversi, mostrando chi erano i bambini e che cosa sono diventati dopo una serie di eventi tragici, in questo caso la pedofilia. Certo è che il pathos del racconto e le scene che dovrebbero testimoniare la violenza di un pedofilo sono ogni volta strozzate, per mostrare la nuova realtà dei personaggi, che potrebbe anche essere omessa ai fini dell’economicità della storia; certo questo avrebbe voluto significare rinunciare ai tre attori sopra citati e quindi anche ad un buon trasporto di pubblico in sala.

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