INTERESSANTE OPERA PRIMA DI MICHELE RHO, DIVERSA DAL SOLITO
In un tempo e un luogo mai specificatamente definiti ma che possiamo immaginare circa alla fine del XIX secolo in un piccolo paese appenninico, vivono due fratelli: Alessandro e Pietro, diversissimi tra loro ma uniti da qualcosa che di gran lunga supera un semplice legame di parentela. Alla morte della madre che per la sua genuina bontà rappresentava il genitore da loro più amato, i fratelli ricevono in dono due cavalli dal padre, un austero e laconico lavoratore.
Questi due cavalli, anche se indirettamente, possono essere considerati protagonisti quanto i ragazzi e su cui subito si focalizza l’attenzione dello spettatore che conosce il titolo della pellicola sono poeticamente rappresentati come i mezzi attraverso i quali i due ragazzi si realizzeranno: uno userà Baio, il suo cavallo, per andare in città e fare esperienze, l’altro Sauro per approfondire il proprio rapporto con l’animale scoprendo proprio in questo legame una “vocazione”.
La sceneggiatura formalmente equilibrata da un climax ascendente che partendo da un idillio passa per lo sconvolgimento della situazione di quiete fino a giungere ad un lieto fine ben curato presenta tuttavia, ad un livello microscopico, almeno tre considerevoli sviste.
Alla buona costruzione della trama si oppone una mancata chiarezza descrittiva dei passaggi fondamentali della storia, per esempio la crescita e la separazione iniziale dei due fratelli; proprio questa dicotomia temporale, che poteva giocare come punto forte per il giovane Rho, non viene gestita al meglio rendendo il film leggermente sbilanciato su determinate situazioni e, di conseguenza, non esauriente in altre. I dialoghi, inoltre, che nonostante siano pochi e brevi (lungi questo dall’essere un problema, ci insegna -per citarne uno- A. Kurosawa) lasciano lo spettatore perplesso e spesso scottato dalla loro prevedibilità, per non dire -in alcuni punti- banalità.
Tutt’altra questione per la regia: l’opera prima di Michele Rho è ben girata, sfrutta molto bene i paesaggi naturali di cui dispone e dimostra una discreta abilità con il linguaggio cinematografico; ne risulta una direzione più che discreta nonché notevole in più di una circostanza.
Di grande rilievo sono anche i due lead actors: Michele Alhaique e Vinicio Marchioni che nonostante i due ruoli insoliti possono vantare una notevole performance, soprattutto Alhaique al quale in più di una scena bastano poche icastiche espressioni a rendere superflua ogni parola, dando così un’ottima profondità al suo personaggio.
Un film tutto italiano e molto giovane a cui possiamo/dobbiamo, proprio per questo, perdonare qualche ombra e dargli la fiducia che merita.
Giovanni Galassi