IL GIOVANE COMPOSITORE DIVENTA ICONA DELL’ITALIA NEL MONDO
Molte parole dure sono state pronunciate sul mondo del cinema italiano. Il suo livello qualitativo si è abbassato, è capace di produrre solo commedie preconfezionate e soprattutto non è in grado di gareggiare in un contesto internazionale.
La storia di Adriano Aponte è una valida replica.
Compositore classe ’86, la sua bravura è stata riconosciuta in tutto il mondo, portandolo a vincere, unico tra i suoi connazionali, due volte il Los Angeles Music Award (nel 2009 come ‘Acoustic Album of the Year’ e nel 2010 come ‘Instrumental Artist of the Year’), oltre alla nomination come ‘International Artist of the Year’, presso i ‘Paramount Studios’ di Hollywood). Successo a cui sono seguiti vari riconoscimenti e opportunità, tra le quali suonare per l’International Committee of the Los Angeles Philharmonic Orchestra Association e il rilascio di un disco “Music for the Movie”.
Partiamo da una domanda generale, quanta passione per la storia del cinema deve possedere un musicista del settore?
R. Moltissima. Sono convinto che chi faccia il compositore di musica da film debba immergersi nel mondo del cinema in tutte le sue sfumature e sfaccettature. La storia del sonoro è importante ma non ritengo indispensabile essere grandi cinefili; ma sapersi rapportare alle immagini, studiando quelli che sono elementi tecnici fondamentali del film quali: luci, fotografia, montaggio, movimenti di camera…cercando di cogliere il suono già interno al film. Se poi, come dice il Maestro Morricone, la musica prodotta per un film sarà valida e piacevole musica anche senza il film, l’obiettivo del compositore sarà pienamente raggiunto.
In particolare tu come ti prepari?
R. Studio la sceneggiatura. Conoscere la storia del film aiuta ad accompagnarlo con le musiche più adatte. Anche se non è obbligatorio. Esistono due scuole di pensiero nel mondo della composizione, chi si lascia influenzare dalla sceneggiatura, e chi invece compone liberamente. Ad esempio come operano Franco Piersanti e Sandro Di Stefano, che lavorano anche sulla sceneggiatura, e Andrea Guerra che invece lavora direttamente al film.
Ti sei fatto conoscere immediatamente all’estero. Anzi, possiamo dire che sei diventato famoso prima negli Stati Uniti e poi in Italia [ha spedito un cd in America, dove è stato selezionato per il L.A. Awards nda] La tua permanenza oltreoceano ti ha dato l’opportunità di conoscere due modi diversi di fare cinema; quali sono a tuo avviso le differenze più significanti?
R. Innanzitutto la libertà di scelta. Qui in Italia è il regista a decidere. Ha l’ultima parola e può mettere bocca su ogni decisione. Negli Stati Uniti questo compito spetta al produttore. Suoi i soldi, sue le decisioni.
Se parliamo del mio campo, da noi il compositore ancora crea le musiche. Le colonne sonore sono ispirate, composte e prodotte da un’unica persona, al massimo un gruppo ristretto. In America si è trasformata in un’industria del suono. Tante persone che lavorano su un determinato aspetto, come una catena di produzione, con il compositore che dirige dall’alto un lavoro che alla fine non è del tutto suo. È un modo completamente diverso di fare.
Dove ti trovi meglio?
R. Sicuramente gli Stati Uniti sono un punto d’arrivo, ma al momento in Italia mi trovo bene.
Non è stato facile, perchè come in ogni campo e nel cinema ancora di più contano più i contatti che la meritocrazia. Ragionamento sconosciuto in America, per questo ho tentato subito di farmi conoscere all’estero e sono tornato qui con dei premi alle spalle che mi hanno aperto numerose opportunità.
Comunque non mi voglio precludere niente. In tal senso sono fortunato, la musica è uno dei pochi linguaggi universali. Non c’è bisogno di traduzioni per arrivare al cuore della gente, la musica lo fa per me.
E noi gli auguriamo di poterlo fare in ogni momento!