MARCHIONI E LIOTTI IN UN THRILLER “IMPURO”, DAI TONI FORTEMENTE DRAMMATICI
Emiliano Corapi esordisce al cinema con un thriller-drammatico indipendente, un film di genere fuori dagli schemi: il regista non crede che i film basati su un genere “puro” abbiano grande seguito tra il pubblico italiano ed ecco perché inserisce nel suo primo lungometraggio una forte linea drammatica, portata avanti dalle storie personali dei due protagonisti. La storia di due uomini semplici, che volgiono mantenere salda la loro intergrità ma che finiranno entrambi per pagare a caro prezzo i loro errori.
Alberto (Vinicio Marchioni) è un piccolo imprenditore ligure che per salvare la sua azienda inizia a fare il corriere per un’organizzazione criminale. Durante uno dei viaggi qualcosa va storto: due uomini sequestrano la moglie e i figli di Alberto e li tengono in ostaggio fino a commissione terminata. Arrivato a destinazione, il protagonista scoprirà di essere stato sostituito da Sergio (Daniele Liotti), un criminale ormai “esperto”. Inizia un inseguimento disperato tra i due, entrambi mossi da una profonda paura interiore.
Una regia dal sapore statunitense segue le caratteristiche tradizionali del thriller: uso continuo della macchina da presa a spalla e a mano, primi piani stretti, inquadrature montate allo scopo di ottenere un ritmo sostenuto. La fotografia risulta naturale ma solo perché fatta con pochissimi mezzi: da l’impressione di non essere stata molto curata. Interessanti alcune sequenze che ricostruiscono fatti passati che non sono stati subito mostrati e davvero apprezzabile la scelta di eliminare inutili descrizioni delle faccende sentimentali dei personaggi (tendenza piuttosto comune nei film contemporanei) a favore di una storia di stampo completamente diverso.
Centrato il personaggio di Daniele Liotti, mentre l’interpretazione di Marchioni lascia un po’ a desiderare: sembra non adatto a questo ruolo, soprattutto a causa dell’improbabile accento genovese, che fa sembrare Alberto quasi straniero. Della tensione che dovrebbe sentirsi non c’è traccia. Non riesce, come si suol dire, a “incollare lo spettatore alla sedia”. Un buon motivo potrebbe essere l’improbabile ritratto della criminalità organizzata offerto da Corapi, che non sembra conoscere bene l’ambiente (e le sue rappresentazioni cinematografiche). Nel complesso risulta abbastanza noioso, tutt’altro che carico di tensione.
Si tratta purtroppo di un film mal riuscito. Realizzato grazie alla passione di molte persone (anche nomi illustri) che vi hanno lavorato, ma la poca disponibilità economica (meno di 300.000 euro) è un ostacolo troppo grande da sormontare. Nonostante questo, “Sulla strada di casa” è un’opera che è importante segnalare per il coraggio e l’impegno che tutta la troupe ha messo nella realizzazione del progetto, soprattutto perché i tempi sono tutt’altro che favorevoli.