UNA COMMEDIA SU UN COMICO, DOPPIO DIVERTIMENTO? NO, SI RIDE POCO E NIENTE
Lello Morgese (Uccio De Santis) è un comico affermato in tutta la Puglia, nella sua piccola realtà tutti lo adorano e durante i suoi spettacoli il teatro è sempre pieno. Sua moglie (Mia Benedetta) però non lo ama più e decide di lasciarlo improvvisamente. La separazione lo porta ad abbandonare il lavoro e lo psichiatra gli consiglia di andare a casa dei suoi fan più affezionati per ritrovare un po’ d’amor proprio e il coraggio per tornare sulla scena. Inizia così un viaggio in lungo e in largo per la Puglia che porterà Lello e i suoi due amici (Umberto Sardella e il geniale Nando Paone) a fare strani incontri…
Non me lo dire è una commedia molto ben fatta: Vito Cea si dimostra un regista competente, Antonello Emidi allestisce una fotografia dai colori brillanti (anche se un po’ “pacchiani”) e i frequenti cambi di fuoco sono praticamente perfetti; piacevolissima la colonna sonora, azzeccate e divertenti le canzoni originali di Gianni Ciardo. Si tratta di una commedia il cui livello tecnico è indiscutibilmente alto, peccato per il contenuto piuttosto carente; dovrebbe costituire il punto forte dell’opera e invece manca. Gli attori che interpretano i personaggi secondari sono spontanei e molto carini, decisamente più interessanti dei protagonisti principali.
Vito Cea realizza una commedia che è anche un road movie in Puglia, celebrata in tutta la sua bellezza, cittadina, agricola e marittima. Dalle varie situazioni emergono l’animo della gente e le tradizioni del luogo; un affresco appassionato della regione e delle sue località. Il viaggio di Non me lo dire ricorda quello intrapreso da Aldo, Giovanni e Giacomo in Tre uomini e una gamba. In effetti, molte scelte del regista richiamano dichiaratamente l’estetica dei film del trio comico. Citazione a scopo di omaggio o “ispirazione” nella speranza di ottenere lo stesso successo di Massimo Venier? Non ci è dato saperlo e non sta a noi stabilirlo, ma chi vedrà il film di Cea rimarrà quantomeno perplesso nel trovare delle somiglianze con Tre uomini.
Attraverso la storia di Lello ci viene offerto un’interessante spunto di riflessione: un comico (un idolo dello spettacolo in generale) è amatissimo dal pubblico, ma quanto è “reale” questo sentimento? E che forme assume? In una delle prime scene il protagonista inizia lo spettacolo raccontando della separazione con la moglie nel tentativo di “sfogarsi” con il pubblico e di trovare conforto, ma quello ride, lo sbeffeggia. Gli spettatori ridono a prescindere, perché sta parlando il comico che amano e che pagano per ascoltare. Il successo è dunque solitudine? Possibile che il pubblico voglia solo divertirsi per un paio d’ore senza stare troppo a pensare a chi è che gli procura questa ilarità? Il viaggio di Lello servirà anche a rispondere a questa domanda.
In conclusione, non si può dire che sia un film divertente: è piacevole e “sfizioso” da guardare ma sicuramente non si esce dalla sala soddisfatti, neanche un po’. Si ride poco e mai di cuore. Non me lo dire sembra quasi non riuscito, si ha la sensazione continua che manchi qualcosa anche se non si riesce bene ad intuire cosa sia.