Le paludi della morte: recensione film

SAM WORTHINGTON, JESSICA CHASTAIN E JEFFREY DEAN MORGAN IN UN POLIZIESCO TROPPO ACERBO

Atmosfere cupe, omicidi seriali rimasti irrisolti, una buona dose di angoscia disturbante, sono le principali caratteristiche del nuovo lungometraggio La palude della morte, firmato da Ami Canaan Mann, figlia del regista Michael Mann. Ispirato da una storia vera, il film, racconta le vicende di due poliziotti, Il detective Souders (Sam Worthington) della omicidi e il suo collega Heigh (Jeffrey Dean Morgan), uno texano e l’altro newyorkese, sono alle prese con un serial killer particolarmente crudele e meschino. Si diletta nel violentare giovani donne, anche dopo averle uccise, per poi gettare i loro corpi torturati nei campi paludosi che si trovano attorno un paesino del Texas, chiamati Texas Killing Fields.

Insieme alla collega Pam Stall (Jessica Chastain), i tre decidono di occuparsi del caso, nonostante non faccia parte della loro giurisdizione. Il killer però, si accorge presto del loro punto debole e inizia a giocare con loro, lasciando una serie di indizi sulla scena del crimine. Quando scompare una ragazzina del posto, Anne (Chloe Moretz), che i poliziotti conoscono bene, inizia una lotta contro il tempo per trovare il killer e salvare la vita alla piccola.

La Palude della morte è un solido film di genere, un poliziesco ben confezionato, ma poco originale. Sembra che la regista sia intenzionata a dimostrare il meglio di sé e non si può negare che stilisticamente, sia a tratti perfetta, ma le manca la capacità narrativa e la capacità di premere sul lato emotivo dei personaggi. Il film avrebbe potuto (e forse dovuto) puntare molto sull’empatia che porta lo spettatore a identificarsi con il personaggio e a vivere con lui l’esperienza terribile, ma questo non accade e anzi, molte situazioni e sensazioni vengono lasciate in sospeso.

Tutto questo avviene nonostante sia ispirato a una serie di omicidi seriali accaduti nella realtà e nello stesso Texas, e la sceneggiatura sia stata scritta da Don F. Ferrarone, ex agente della Dea che nel 1969, fu trasferito in quel luogo per occuparsi di traffico di droga. Tutto questo ci conferma che le intenzioni c’erano ma Ami Canaan Mann ha ancora molta strada da fare. 

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