FACCIAMO LUCE SULL’ANNOSA QUESTIONE MEGLIO IL FILM O IL ROMANZO
Fare la trasposizione cinematografica di uno dei libri più belli e letti degli ultimi 10 anni è stata certamente una sfida coraggiosa per Stephen Daldry il regista di “Molto forte incredibilmente vicino”, film tratto dall’omonimo libro di Johnathan Safran Foer. Sfida che a onor del vero risulta persa, ma con onore.
“Molto forte, incredibilmente vicino” è un libro estremamente introspettivo la cui narrazione gioca moltissimo sul flashback. E’ un libro che pur parlando dell’11 Settembre e della perdita di un padre è lontano anni luce da qualsiasi tipo di retorica che intacca spesso tali argomenti, e la sua bellezza è anche in questo oltre che nelle parole del piccolo narratore.
La storia Oskar e di ciò che avviene nella sua ricerca, ultimo gioco ultimo frammento di complicità con suo padre ormai lontano, è stata riadattata dallo sceneggiatore Eric Roth che prova inutilmente e forse ingiustamente, dati i tempi cinematografici che hanno respiri ben più brevi di quelli letterari, di rimanere il più fedele possibile al testo originale rende in alcune parti il film quasi claustrofobico. La continua presenza di immagini inerenti al crollo delle Twin Towers e il tono che gli adulti usano spesso nei confronti del piccolo protagonista, interpretato dallo straordinario Thomas Horne, sporcano la storia con un buonismo del quale non vi è minima traccia nelle parole di Foer.
Al di là del percorso che Oskar e l’anziano Max Von Sydow intraprendono per le strade di New York che è da annoverare tra gli attimi di ottimo cinema che questo periodo, forse un po’ sterile, ci ha regalato e che si ha soprattutto grazie alle performance degli attori e allo splendido set che la grande mela sa essere, il film di Daldry è ricolmo di parole di troppo e inutili isterie che allontanano, minuto dopo minuto, sempre più irrimediabilmente il film dal romanzo sprecando la buona occasione di far ritrovare il pubblico davanti a un’opera eccellente.