No: recensione film

IL RITORNO AL CINEMA DI PABLO LARRAIN, SEMPRE INTERESSATO ALLA POLITICA DEL SUO PAESE, IL CILE

Il nome di Pablo Larrain non dirà nulla ai più, ma se qualcuno vorrebbe saperne di più sugli ultimi 50 turbolenti anni della storia del Cile – e non vuole aprire i libri- dovrebbe cominciare dai suoi film. Ai suoi “Tony Manero” e “Post Mortem”, che l’hanno fatto riconoscere nel circuito dei festival internazionali, si aggiunge ora questo nuovo “No”, accettato all’unanimità nella sezione “Quinzaine des realizateurs”.

Caratterizzato da una vena politica unita alla voglia di fare una lezione di storia tra quelle appassionanti che solo il cinema sa dare, la pellicola di Larrain si concentra sul personaggio di René Savedra, un pubblicitario a cui è dato l’incarico di occuparsi della campagna di propaganda per le elezioni che decideranno il futuro del paese: con la dittatura di Pinochet o No? Inizia una sfida tra due campi a colpi di spot televisivi.

Per questa pellicola ambiziosa e dal contenuto ancora attuale Larrain ha fatto ricorso a una scelta estetica che nei primi minuti può dare un certo fastidio allo spettatore, eppure per essere fedeli allo spirito dell’epoca non si poteva fare cosa più giusta. “No” è infatti interamente girato in U-matic, ovvero la tecnica del nastro magnetico su cui venivano registrate le trasmissioni televisive negli anni ’70. A volte c’è perfino un lieve spostamento dei colori sui corpi in movimento, ma ciò rende ancora più preziosa la scelta del regista, così vera da introdurci direttamente nella storia, come se stessimo assistendo a una diretta dei fatti che stiamo vedendo.

E per di più Larrain racconta il mondo di questi pubblicitari attivi politicamente, come certi eroi che utilizzano l’acume e l’intelligenza per combattere contro una politica che non deve esistere: il riferimento va anche ai giornalisti combattivi di “Tutti gli uomini del presidente”, ed è infatti il cinema americano di denuncia anni ’70 ad apparirci come la maggiore fonte d’ispirazione stilistica per una pellicola dal titolo così eloquente. Gael Garcia Bernal si rivela ancora una scelta adatta in un film fortemente politico, dopo il cult “I diari della motocicletta”. L’attore messicano risulta perfettamente credibile nei panni del regista svampito, ma deciso, che in poco tempo prende le redini del progetto e lo guida attraverso varie difficoltà, anche quando le persone che lo amano finiscono per abbandonarlo.

In sostanza un ottimo affresco storico con una sceneggiatura dai dialoghi trascinanti che ci aiutano anche a esplorare l’interiorità dei personaggi, colti a tutto tondo, nel caos della Storia che li sta fagocitando. Se si potesse imparare la storia sempre così sarebbe uno spasso tornare a scuola…

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