UN INTENSO DRAMMA FAMILIARE CON L’ASTRO NASCENTE LÉA SEYDOUX
La mania dei titoli tradotti in modo ignobile ha colpito ancora! Stavolta è toccato al film di Ursula Meier, Orso d’Argento all’ultimo Festival di Berlino, “L’enfant d’en haut”, letteralmente ‘il bambino di sopra’. In questo caso i nostri distributori spostano il centro dell’attenzione verso il personaggio femminile che è sicuramente importante, ma non quanto quello che compare in tutte le inquadrature a cui si riferisce il titolo originale.
Simon è un ragazzo che passa le giornate in montagna a rubare, tra le varie cose, sci, caschi e occhiali da vendere a chiunque gli capiti. La sorella maggiore Louise alterna momenti in cui lavora ad altri in cui dipende esclusivamente dal piccolo, che sembra essere l’unica sua fonte di sostentamento. Quanto ai loro genitori non si sa nulla. Più tardi assistiamo a una serie d’incontri che sconvolgerà la vita dei due protagonisti, fino a gettare nuova luce sul loro rapporto…
L’opera seconda della Meier conferma il talento della regista –dopo il sottovalutato “Home”- nel descrivere personaggi fuori dal comune, con un gusto per i paesaggi e le situazioni surreali che ci ricorda certo cinema anni ’80, tra Wenders e Jarmusch. Ma la regista franco-svizzera non ha soltanto un buon stile: le sue sono storie veramente sentite. Anche in una parabola così bizzarra riesce a coinvolgere lo spettatore riuscendo ad alternare un’atmosfera da fiaba che fa sembrare “Sister” un adattamento di Dickens inserito in un contesto contemporaneo con una dimensione di critica sociale che piacerebbe tanto a Loach.
La pellicola comunque non sarebbe così riuscita se non fosse supportata da un cast di livello. Possiamo tranquillamente ignorare chi dice che Léa Seydoux è la nuova Brigitte Bardot. Però, va’ detto che l’attrice vista già in “Midnight in Paris” e “Mission Impossible 4” ha un fascino disperato capace di stregare anche lo spettatore più reticente.
Insomma, sarà pure la discendente dei capi della Gaumont, ma rispetto a tanti raccomandati italiani ha carisma da vendere. Ovviamente però la star del film è il piccolo Kacey Mottet Klein, dal volto apparentemente maldestro come un piccolo Rupert Grint, ma che riesce bene a trasmettere la confusione e la violenza interiore del suo personaggio. Riesce anche ad avere un potenziale ironico nei momenti quando interagisce con i suoi coetanei –che lo guardano come una sorta di icona, aliena al loro mondo- ed emoziona quando parla col personaggio di Gillian Anderson, una turista inglese che ai suoi occhi appare come la madre ideale.
Pur con qualche imperfezione (come qualche calo di ritmo nella seconda parte e una colonna sonora un po’ monotona) “Sister” resta uno dei drammi familiari più intensi e interessanti degli ultimi mesi. Sicuramente dopo due opere così atipiche nel panorama del cinema francese Ursula Meier si afferma ai nostri occhi come una cineasta da tenere d’occhio.