IL CINEMA DI GENERE IN ITALIA È MORTO? NON FINCHÉ CI SONO IN GIRO I MANETTI BROS
Marco e Antonio Manetti, meglio conosciuti come Manetti Bros., rappresentano un’ eccezione all’interno del panorama cinematografico italiano: legata fin da subito ad un cinema indipendente e a basso costo la coppia di registi in pochi anni si è guadagnata (questo ultimo Paura 3D probabilmente ne segnerà la consacrazione) il rispetto di pubblico e critica per la produzione di genuini film di genere.
Il discorso dei film di genere in Italia andrebbe ripreso, dal momento in cui nel nostro paese si sente una grossa mancanza di autori prolifici che garantiscano film d’intrattenimento di qualità, in cui la mancanza di grossi mezzi è compensata invece da idee di spessore artistico e fantasia. Non a caso a detta degli stessi registi uno dei loro punti di riferimento è proprio Carpenter, vero e proprio pioniere del grande cinema americano di serie B.
Roma. Tre ragazzi di periferia, annoiati della vita di tutti i giorni si trovano davanti agli occhi una grossa occasione: hanno fra le mani casualmente le chiavi della villa di un marchese molto ricco, cliente dell’officina nella quale lavora uno di loro. L’idea è di farsi un week end “da paura”, ma il padrone di casa, che era partito per un convegno di auto d’epoca, è costretto a ritornare prima del previsto. I guai per i ragazzi sono solo iniziati, soprattutto perché non hanno ancora aperto la cantina della villa del marchese….
“Paura” senz’altro non è un titolo “facile” per un prodotto così rischioso e inevitabilmente sotto gli occhi di tutti. Non facile è anche risultare originali e innovativi. Difatti di veramente nuovo questo film non porta nulla, ma il suo valore profondo sta nel riuscire a mescolare sapientemente tradizione e nuova scuola , aggiungendo in fase di scrittura elementi apparentemente non fondamentali, ma in realtà determinanti per dare un’identità propria a questo prodotto. Stiamo infatti parlando di un esempio di horror che vuole essere all’italiana: l’ambientazione iniziale della periferia romana da un taglio già molto preciso della situazione e con questo e altri elementi i due registi mostrano una cura particolare nel voler dare identità e originalità al loro lavoro.
Un piccolo grande film di genere. Impreziosito da un humour nero che bilancia il film tra l’incubo e la favola nera. Ovviamente non è esente da difetti: l’impianto è forse fin troppo meccanico e il finale troppo lungo smorza un po’ la tensione. Ma l’impegno dei registi anche nel dirigere gli attori (come un insolito Peppe Servillo nei panni del marchese) e la colonna sonora di Pivio garantiscono un’atmosfera inquietante per gran parte del film.
L’uso del 3D è un’esperienza del tutto nuova per i registi che ci si sono cimentati non senza qualche difficoltà sotto loro stessa ammissione . Diciamo fin da subito che a una riflessione superficiale l’uso della prospettiva tridimensionale appare sprecata per questa pellicola, perché l’uso che ne fanno i Manetti non vuole condizionare il prodotto in nessuno dei suoi campi, ma vuole essere un arricchimento sottile. In questa maniera non invadente l’opzione risulta efficace perché i due registi sfruttano la tridimensionalità in modo da aggiungere quel pizzico di profondità in sequenze che senza di questa non avrebbero avuto lo stesso impatto emotivo, come le escursioni del protagonista nella buia cantina, o la sorpresa che si nasconde dietro la fessura del muro o infine l’indovinatissima sequenza dell’occhio del protagonista nella serratura della porta.
SCRITTO DA MATTEO FAVA