CHE FINE FARÀ IL NOSTRO CINEMA SE NEANCHE I SUOI MAGGIORI ESPONENTI LO AIUTANO?
Giuseppe Tornatore è senza dubbio, ma con qualche ombra di merito, uno dei registi più importanti del panorama cinematografico nostrano. A tre anni dall’uscita di Baarìa, film che aveva come reale protagonista la sua città natale sfondo della storia della sua famiglia, la sua, (molto simile a quella scritta da Giovanni Sapia nel suo libro Il romanzo del casale), mister Tornatore sarà di nuovo in sala il 4 gennaio 2013 con un progetto che è stato presentato, accennato più che altro per mantenere quel velo di mistero che piace tanto al regista e che porta valanga di curiosa pubblicità, con il suo nuovo film La migliore offerta (The best offer).
La migliore offerta sarà a detta sua ”una storia d’amore dentro una tessitura narrativa un pò thriller, gialla, anche se non ci sono omicidi, assassini e investigazioni” ma sembra essere stato presentato come un colossal più per i costi che per altri reali morivi, avere come scopo principale quello di puntare al secondo Oscar per il regista di Nuovo cinema paradiso.
Ciò che infastidisce non è lo scopo ultimo che la pellicola vuole avere ma il fatto che al di là della produzione (Warner Bros. Entertainment Italia, Paco Cinematografica, Provincia Autonoma di Bolzano – Alto Adige BLS e Friuli Venezia Giulia Film Commission) il film, ora in fase di montaggio, sia stato girato completamente in inglese, per la maggior parte a Praga e Vienna e senza nessun attore italiano (il cast è formato da Geoffrey Rush, dal canadese Donald Sutherland, dall’olandese Sylvia Hoeks e dal britannico Jim Sturgess) , neanche come mera comparsa.
Lo stesso regista ammette “ho provato a calare la storia in un contesto italiano ma non avrebbe funzionato, d’altronde nessun luogo in cui ho girato è identificato, rimane tutto molto sfocato perché non volevo che fosse ancorato a una location precisa. Abbiamo perfino creato noi le divise della polizia perché non fossero riconoscibili con le forze d’ordine di uno specifico paese”, parole decisamente contraddittorie: se nessun luogo è identificato perché non girare unicamente in Italia?
Certo è vero che i costi qui sarebbero stati più alti, ma è anche appurato che l’amato Oscar lui l’ha vinto grazie alla fortissima matrice tricolore che Nuovo cinema paradiso (considerato spin-off di Baarìa dallo stesso regista) aveva e il suo successo è dovuto al grande entusiasmo da parte del pubblico che i suoi film ottengono qui, mentre altrove magari sarebbe stato uno dei tanti.
Che un esponente di lusso del nostro cinema, come ha già fatto Paolo Sorrentino con This must be the place, punti a un successo internazionale non portando con sé esponenti del cinema italiano e non scegliendo ambientazioni che possano ridare luce al Belpaese è l’ennesimo scacco matto per questo settore già agonizzante, pur, in quel caso, sedotto dalle sirene USA a cui è difficile resistere.
Giuseppe Tornatore, che a mio modesto e maleducato parere è dai tempi de La leggenda del pianista sull’Oceano (film bellissimo grazie anche alla sceneggiatura di Alessandro Baricco) che non fa un film degno di questo nome, dicendo “ho provato a calare la storia in un contesto italiano ma non avrebbe funzionato”. In un momento così difficile per il cinema di questo paese sta dando una mano a far fare al nostro cinema la fine di quel bovino ammazzato inutilmente durante le riprese di Baarìa: morire sul set. Quella scena che provocò rabbia nelle associazioni animaliste, in Italia sarebbe stata illegale. Ma in Italia, purtroppo, non è illegale volersi male.