Le belve: recensione film

OLIVER STONE SFODERA UN FILM “DEI SUOI” CHE CONVINCE OLTRE I DIFETTI

Genere: thriller

Uscita: 25.10.2012

Giovani, belli e spietati. O, ancora meglio, giovani, geniali e artefici del proprio destino. È questa la storia di alcuni di noi, in questo caso Ben (Aaron Johnson) e Chon (il lanciatissimo Taylor Kitsch), protagonisti “selvaggi” del nuovo thriller firmato da Oliver Stone, Le belve. Duro, ben articolato, purtroppo in arrivo doppiato, perché dalla voce calda e sensuale di una sensuale e calda O. aka Blake Lively scaturisce il racconto di due brillanti giovanotti, tanto diversi da loro, quanto uniti nella salute e nella (stessa) donna.

Un trio che coltiva e produce erba con profitti enormi in California, tanto che il cartello messicano comandato dalla diavolessa Regina Rossa, Salma Hayek con tanto di parruccone, vuole impadronirsi del loro “know-how” ed estenderne i profitti oltre confine. Lo scontro è inevitabile, perché in una civiltà in cui sono i selvaggi a comandare, pur giovani, bellissimi e spietati (Savages è il titolo originale), non c’è spazio per la tolleranza, la violenza regna sovrana e sangue chiama solo altro sangue.

Tradimenti, complotti, fiducia comprata e ceduta come frutta al mercato, empatia da narcotrafficanti e moralismi in contraddittorio con la propria moralità interiore. Stone ci mette in mezzo tutto il possibile, dirige con perizia e brio, nascondendo qualche falla di scrittura evidenziata nell’eccessivo protrarsi dei tempi morti, che con mezz’ora in meno di girato avrebbe regalato in sala maggiori emozioni. Poi Stone cala gli assi e si riprende lo scettro di gran narratore quando propone duetti con pezzi da novanta come John Travolta (bentornato Vic Vega) e un immenso Benicio Del Toro, mattatore totale della scena, per carisma e proprietà di bi-linguaggio: un mostro sacro.

Certo, si potrebbe obiettare che la storia non è nuova e Oliver prova troppo a “citare” il suo amico Malick, si potrebbe dire che quegli spietati assassini si lascino sopraffare talvolta con eccessiva facilità, ma la realtà è che il racconto è finzione formato grande schermo e nell’economia della storia ogni tassello prende il suo posto, senza timore né pudore. Si ritorna selvaggi per un momento e ci si dimentica che il benessere per cui gente comune si ammazza proviene da un mercato illegale di 15 milioni di fumatori, spettatori ignari comodi sulla poltrona a girarsi uno spinello.

Viene una gran voglia di unirsi alla festa e ripartire subito col film. Daccapo, finchè si è ancora giovani, belli e cinematograficamente spietati. 

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