La sposa promessa (fill the void): recensione film

FOCUS SU DI UN MATRIMONIO COMBINATO NELLA COMUNITÀ EBREA ULTRAORTODOSSA DI TEL-AVIV

GENERE: drammatico

USCITA: 15 novembre 2012

Esordio alla regia di Rama BurshteinFill The Void-La sposa promessa, film israeliano presentato alla Sessantanovesima Mostra del cinema di Venezia e candidato come miglior film straniero agli Oscar, uscirà nelle sale italiane il 15 novembre.

La storia, ambientata in una Tel Aviv dai contorni sfumati, quasi indefinibile, viene circoscritta all’interno degli ambienti intimi e baroccati di una tradizionale famiglia ebrea ultraortodossa: il capofamiglia è un rabbino, al cui fianco vi è una moglie regina del focolare, due figlie e attorno si sviluppa tutta una fitta rete di legami con gli altri, pronti ad aiutarsi a vicenda. Shira, la piccola di casa, ha raggiunto i 18 anni ed è in età per prendere marito, pertanto le è consentito scegliere tra una rosa di candidati idonei, vagliata prima dai genitori, secondo i  criteri rigorosi imposti dal proprio credo.

L’incontro con il potenziale sposo, un suo coetaneo, avviene al supermercato, dove la ragazza è andata in avanscoperta con la madre. Sua sorella maggiore Ester, invece, è già sposata con Yochai, da cui aspetta un bambino. Sfortunatamente la donna muore, non prima di aver dato alla luce il piccolo. Questa tragedia colpisce gli animi a livello collettivo, tutti si stringono attorno al dolore della famiglia e sono chiamati a celebrare il battesimo del bambino, nella solennità di una funzione religiosa partecipativa, esempio cardine dei tanti momenti di preghiera e unione che scandiscono la vita comunitaria.  

Yochai, rimasto vedovo, è spinto, non solo dalle convenzioni, ma anche dalle necessità, a doversi risposare, poiché il figlio ha bisogno di una madre e lui di una moglie. Così gli viene consigliato di legarsi a una vedova che abita in Belgio. La madre di Shira, all’idea di perdere anche il nipotino, unica gioia rimastale, suggerisce a Yochai di sposare proprio la giovane Shira, che è la donna più prossima alla famiglia e il giovane non sembra affatto dispiaciuto a questa alternativa.

Shira, messa al corrente della decisione che hanno architettato alle sue spalle, impallidisce, vedendo il suo sogno di sempre sgretolarsi sotto il peso di una scelta più grande di lei.  In uno dei frequenti primi piani che indugiano sul suo candore, fa percepire tutto il suo smarrimento, mentre si contempla davanti allo specchio, indossando il tipico copricapo, simbolo distintivo delle donne sposate, che aveva tanto desiderato in maniera esclusiva. 

Alla fine, nonostante il grande dissidio, acconsentirà alle nozze.  In un passaggio del film,  quando il rabbino che deve dare l’approvazione all’unione, interpella la la ragazza su quali siano i suoi veri sentimenti a riguardo, lei risponde che non si tratta di sentimenti ma è semplicemente la scelta più giusta da fare, allora, l’anziano uomo, dall’alto della sua saggezza, replica dicendole che invece “è solo una questione di sentimenti“.

I sentimenti a cui fa accenno, sono riconducibili esclusivamente all’amore che dovrebbe consacrare il vincolo del matrimonio. Eppure quest’amore, dapprima impensabile da concepire, se non come un torto o un gesto impuro, poi via via soffocato per paura di essere ammesso, sarà presente nel petto della ragazza in preda ad un’euforia mista all’agitazione, con indosso il suo vaporoso abito bianco, nel tanto atteso giorno. 

Maria Teresa Limosa

(29 ottobre 2012)

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