Silent hill – revelation: recensione film

L’ATTESO SEQUEL DEL CULT DEL 2006 OFFRE QUALCHE INTERESSANTE GUIZZO VISIVO E POCO ALTRO

GENERE: horror

USCITA: 31 ottobre 2012

Capita che con le saghe ripescate dopo vari anni di distanza ci si trovi di fronte ad opere che ripetano lo stesso andamento dei precedenti episodi, senza particolari innovazioni: è anche il caso del secondo capitolo di Silent Hill sottotitolato Revelation inserito quasi come indizio per segreti ‘eclatanti’ esclusi dal primo memorabile episodio, uscito ormai sei anni fa.

La storia segue in modo fin troppo schematico l’andamento del primo episodio, inserendo qua e là qualche invenzione dall’impatto visivo non indifferente che ci ricorda che stiamo vedendo un film appartenente a un universo che conosciamo, ma in cui la messa in scena è cambiata e di certo non in meglio. Quindi niente più virtuosismi in cabina di regia, dopo il lavoro del buon Christophe Gans, ma poche sorprese, visto il lavoro principalmente grafico del regista Michael J. Bassett noto per aver diretto Solomon Kane, un film che sembrava scritto e diretto da un novellino. E anche nel campo della recitazione siamo decisamente una spanna sotto dopo quanto visto nel primo film: se in quel caso avevamo una Radha Mitchell assolutamente strepitosa, qui abbiamo una Adelaide Clemens appena decente e un Sean Bean che fin dalla prima scena in cui appare come padre tenero e sbarbato vorremo che il più presto possibile facesse la fine di quasi tutti i suoi personaggi. Perfino delle personalità di culto come Carrie-Ann Moss e Malcolm McDowell non riescono ad aggiungere niente, anzi sembrano adeguarsi a loro spese a quella che appare una fiera del ridicolo: lo si può sentire benissimo dai dialoghi per niente incisivi e sentiti già migliaia di volte in passato.

Si perde dunque la profondità del primo film, ma almeno una sequenza è da salvare: quando la giovane protagonista si perde in una stanza piena di manichini, lì avviene il bello, in immagini che a livello scenografico sembrano rifarsi al finale de Il bacio dell’assassino di Kubrick. E quando si esce dalla sala forse è davvero l’unica cosa che rimane impressa, perché il resto è già scomparso dalla testa.

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