30 tff – i.d.: recensione film

UNA DONNA ALLA RICERCA DELL’IDENTITÀ DI UN UOMO E DI SE STESSA

I.D. è un doloroso film indiano di Kamal K. M., che partecipa in concorso al Torino Film Festival, nonché uno dei possibili vincitori del Premio Cipputi, assegnato ogni anno alla miglior opera presentata alla kermesse torinese che si occupa del mondo del lavoro.

La storia comincia con una donna che parla tranquillamente al telefono in una tipica e tranquilla giornata. All’improvviso l’operaio che le sta pitturando le pareti del salotto si accascia a terra e muore. L’uomo però non ha un nome. Comincia così per la donna un viaggio attraverso l’India per scoprire chi è l’operaio e dare un I.D., ovvero un nome, all’uomo che la stava aiutando e che per tutti è solo uno dei tanti morti senza nome.

Attraverso I.D. ci si addentra in un terreno complicato quello dell’immigrazione clandestina, con il desiderio ostinato di una cittadina civile, nel senso più puro dell’aggettivo, che ha voglia di restituire dignità ad un uomo. Per certi aspetti I.D. Ricorda molto da vicino la storia de Le Tre sepolture, questa volta però la protagonista è una donna, che si ritrova da sola a dover affrontare una sorta di pellegrinaggio attraverso le metropoli indiane alla ricerca della verità.

La pellicola è comunque un ottimo spunto per riflettere oltre che sull’immigrazione clandestina anche su quello che è il dramma delle morti bianche, oltre che ovviamente su tutti quei lavoratori anonimi che muoiono ogni giorno nei cantieri e che padroni senza scrupoli per la vita umana non vedono l’ora di sbarazzarsene al più presto per non avere guai con l’autorità costituita. Tutte le vittime di una modernità senz’anima, che rincorre il miracolo economico, trovano nuova dignità e anche riscatto. 

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