IL CINEMA SI RACCONTA ATRAVERSO LE VICENDO DI UNO STUNTMAN CHE FINALMENTE OTTIENE UNA PARTE DA PROTAGONISTA
Altro film sul mondo del lavoro in concorso al Torino Film Festival e di conseguenza anche papabile vincitore del Premio Cipputi: Tabun Mahabuda di Emyr ap Richard e Darhad Erdenibulag, il cui titolo internazionale in inglese è The First Aggregate. Il film affronta la tematica della precarietà proprio nel mondo della settima arte. Il protagonista della vicenda è infatti uno stuntman, che ritorna a casa sua dopo essere guarito da una brutta ferita, che si è procurato durante un incidente su un set cinematografico. L’incontro con una donna gli cambierà la vita, dato che riesce ad ottenere finalmente una parte da protagonista, in un film che è incentrato proprio sulla vita di un famoso attore. Nonostante Tabun Mahabuda racconti una storia abbastanza semplice, è strabiliante il modo in cui i due registi abbiano scelto di girarla. Si tratta di una vicenda (in tutti i sensi) di poche parole, in cui i corpi dei protagonisti altro non sono che degli involucri abitati da anime che non riescono a creare rapporti umani. Lo sguardo dei due registi è esterno ed oggettivo, anche se qualche volta, in un paio di scene, diventa benevolo, mantenendo però il giusto freddo distacco e la stessa intensità di giudizio per tutta la narrazione. Emyr ap Richard e Darhad Erdenibulag guardano al maestro taiwanese Tsai Ming-liang, portando sul grande schermo un film di solitudine e con personaggi alienati che vivono con disagio il mondo contemporaneo: uomini e donne che urlano il loro dolore perché non riescono a vivere appieno la propria vita, inappagati in tutto ciò che li circonda, dal lavoro ai sentimenti umani, in una realtà che sembra senza purezza. Forse a Tabun Mahabuda manca ancora qualche cosa, soprattutto quella miscela vincente di melò e satira, critica sociale e culturale e la provocazione che tanto piace del cinema orientale.