Pitigliani kolno’a festival-life in still: recensione documentario

ALLA KERMESSE IL PRIMO FILM DEL REGISTA TAMAR TAL

La dolcezza della storia raccontata nelle immagini di Life in still è di rara bellezza: due generazioni lontane come possono essere quelle di una nonna e di suo nipote che si uniscono per salvare i ricordi, anche quelli spiacevoli.

Nel 1940 il marito di Miriam, Rudi Weissenstein, aveva aperto un negozio di fotografia a Tel Aviv, Ha’Tzalmania (“Lo studio fotografico” in ebraico arcaico). Quel luogo che, come molti altri, col tempo è diventato un’immensa scatola di ricordi sta per essere demolito perché il comune vuole rinnovare il palazzo che lo ospita. Così la donna, ormai ultra novantenne, decide di opporsi con fermezza e al suo fianco si ritrova il nipote Ben che stringe con lui un legame unico.

L’opera prima del regista Tamar Tal, vincitrice del premio DocAviv e quello per il Migliore Film Documentario all’Accademia Israeliana del Cinema è una lunga metafora che vuole sottolineare, con l’estrema delicatezza sofferta che è propria degli occhi della protagonista, Miriam, l’importanza del ricordo. Il negozio di fotografie diventa quasi metafora del passato e infatti contiene negativi che raccontano la storia di Israele e foto che ritraggono i giorni passati della sua famiglia.

E così ciò che è antico rinasce nei racconti e nelle immagini e diventa importante. Perché importanti sono le orme di un lungo cammino. Perché importante è la memoria e il nuovo non può essere cemento che seppellisce la storia, l’insegnamento gli si deve adagiare accanto.

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