Roma film fest – eterno ritorno (provini) : recensione

L’ESPERIMENTO META LINGUISTICO DI KIRA MURATOVA LASCIA PERPLESSI

GENERE: Sperimentale (?)

A volte si è coscienti di star di fronte a un’opera artistica innovativa, differente da ciò che ci viene proposto nell’ambito della cultura ‘mainstream’, ma nonostante questo, talvolta si ha comunque la voglia di passare oltre e ignorarla: è quello che si vorrebbe fare con il film dell’ucraina Kira Muratova, regista quasi ottantenne ancora attivissima, che con Eterno ritorno – Provini firma una delle opere più sofferenti e faticose dell’intero Festival. Non brutte, faticose.

In poche parole il film ripete con vari attori e scenografie lo stesso sketch di dieci minuti su un marito che si sente diviso tra l’amore per la moglie e quello per l’amante. Avete capito bene. In parole povere si tratta di ripetere lo stesso esercizio -in maniera meno efficace peraltro degli Esercizi di stile letterari di Queneau, a cui l’autrice sembra far riferimento- cercando di mettere in evidenza quelle sfumature recitative che ogni attore da’ al ruolo. Dopo oltre un’ora di agonia, la regista riesce comunque a trovare dei momenti per allietare lo spettatore con dei minuscoli inserimenti di umorismo che tuttavia hanno scatenato il pubblico di giornalisti presente in sala. C’è da dire che tuttavia una buona metà degli spettatori ha lasciato la sala poco prima della metà della pellicola: quelli rimasti saranno stati probabilmente i più coraggiosi, tra cui il sottoscritto.

Insomma, il formalismo russo è ammirevole quando si tratta di costruire delle immagini preziose, con bianchi e neri dai contrasti superbi, scenografie ben costruite e una disposizione degli attori nello spazio scenico che coincide con un’idea estetica potente ed efficace. Tuttavia l’esercizio metalinguistico della Muratova sembra fatto apposta per dar fastidio perfino ai cinefili più convinti e non bastano due risate strozzate per fargli cambiare idea. Per altro la spiegazione finale di ciò che abbiamo visto nelle ultime due ore non appare per nulla catartica come avremmo voluto e manca perfino di  logica. Oppure c’è, ma interessa solo alla regista e a pochi altri.

(16 novembre 2012)   

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