Roma film fest-l’isola dell’angelo caduto: recensione

LA PRIMA PROVA DI CARLO LUCARELLI REGISTA

Forse sarebbe stato meglio che Carlo Lucarelli avesse scelto la televisione e in particolar modo, la fiction come primo come mezzo  per cambiare ruolo e passare dallo stare di fronte a un computer per scrivere, al retro di una macchina da presa per dirigere L’isola dell’angelo caduto, lungometraggio tratto da un suo omonimo romanzo. Sarebbe stato meglio, non tanto per la storia o per prove attoriali mediocri, ma più semplicemente perché la complessità e il numero di vicende narrate avrebbero avuto bisogno di essere divise in più episodi: trattenute in una sola pellicola, e nei conseguenti tempi cinematografici, rendono il tutto molto confuso.

Siamo negli anni 20 dell’Italia mussoliniana. In un’isola sperduta in mezzo al mare, chiamata dell’angelo caduto perché la leggenda vuole che Lucifero è lì che cadde dopo essersi ribellato a Dio,  è confino per chi palesa in suo disaccordo col regime. Il luogo abitato da poche anime fa spiccare un commissario (Gianpaolo Morelli), testardo e pronto a spiegare alcuni tutt’altro che chiari ’suicidi’, che gettano ombre sulla milizia mussoliniana presente sull’Isola nonostante il rischio di rimanere ‘confinato’ a lungo sull’Isola maledetta, che sua moglie Hana non riesce a sopportare.

Nel lungometraggio vi sono moltissime story lines alcune aperte e chiuse con chiarezza, altre funzionali alla trama (tra le quali va sicuramente sottolineata quella del guardiano del faro che nelle notti d’inverno immagina di dirigere l’orchestra dei suoni del mare in tempesta e dei tuoni), e, altre ancora, che non sembrano avere senso perché manca il tempo sufficiente per svilupparle.

La prima prova da regista di Lucarelli non è da cestinare, non nella sua completezza. Ma sicuramente viene schiacciata dal peso di una trama troppo complessa conseguenza del non voler sacrificare nulla del romanzo. Ma gli occhi nel leggere e nel guardare hanno bisogno di tempi diversi.

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