Un mostro a parigi: recensione film

AMICIZIA, CANZONI E BANALITÀ SULLO SFONDO DELLA CITTÀ FRANCESE

Sullo sfondo della capitale francese, città usata come scenografia di altri cartoni animati tra i quali Ratatouille e gli indimenticabili Aristogatti, il regista del divertente Shark tale, Bibo Bergeron, ha deciso di ambientare il suo nuovo lungometraggio animato Un Mostro a Parigi.

Raoul ed Emile sono due amici, uno gestisce una sala cinematografica e l’altro con un particolare furgone si occupa di consegne a domicilio. Ed è proprio in una di queste consegne in un giardino botanico che è anche un laboratorio per esperimenti che i due pasticcioni, senza volere, mischiano delle pozioni facendo diventare gigante una piccola pulce che, per scappare dopo aver impaurito l’intera città, si nasconde nel camerino di Lucille una famosa cantante. La ragazza rimane conquistata dalla splendida voce della creatura e dalla sua nobiltà d’animo tanto da chiamarla Francoeur (cuore onesto) e da difenderla contro il Prefetto che vuole usarla come “medaglia al valore” per diventare sindaco.

Questo cartoon dell’Europa corp di Luc Besson non spicca di troppo di fantasia e mette poco alla luce l’ambientazione parigina che sembra più che casuale che utilitaristica rifacendosi senza ombra di dubbio al Fantasma dell’opera.

Il cartone che ha in sé principi banalmente morali come l’altruismo, il concetto che non bisogna avere paura di chi è diverso e l’amicizia si sfinisce nei più ovvi di lieto fine ed è scandito da canzoni orecchiabili ma che ben poco hanno a che fare con quelle a cui la Disney negli anni ci ha abituato.

Non rimane molto una volta usciti dalla sala. Un mostro a Parigi è un cartone ben fatto ma che non stupisce, non fa sorridere e non fa riflettere: i personaggi sono standardizzati e il lungo inseguimento finale toglie trama a una storia che parte già da un’idea fragile e che viene resa in maniera ancora più debole. Un buon dvd di Natale da regalare a chi ha come figli dei bimbi particolarmente antipatici.

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