PASSARE DAL LIBRO AL FILM È UNA REALTÀ IN ESPANSIONE
Ieri alla fiera della piccole e media editoria, Più libri più liberi, sono stati resi noti i dati Aie (Associazione italiana editori) che rilevano percentuali importanti che riguardano quanto il cinema, in questi ultimi anni, ha attinto dalla letteratura per dar vita a nuovi film: un lungometraggio su 5 (il 22% nel 2011) di quelli usciti in Italia è tratto da un libro e il 18/19% (con punte del 23,7%) è firmato da autori italiani. Ma c’è di più, come ci spiega Giovanni Peresson, direttore dell’Ufficio studi Aie: “Nel 2011 rispetto ai due anni precedenti non solo si è registrato un più 7,5% di uscite cinematografiche ma è aumentata la quota dei film tratti da libri, più 11,9%. Importante anche la differenza tra i grandi gruppi e i piccoli e medi editori; nel 2010 il rapporto è stato addirittura del 63,6% a favore dei piccoli rispetto al 36,4% delle major”. Nel raffronto tra l’incidenza del mercato straniero rispetto a quello italiano, i libri scritti e editati all’estero si aggiudicano ancora la fetta più grande di mercato pagina scritta-grande schermo: nel 2011 più 69,4% rispetto al 30,6%. Quali sono le prime conclusioni che si possono trarre? “Intanto che ad essere più avvantaggiato è sicuramente il versante cinematografico. Meno eclatante il risultato inverso, cioè quanto un editore ricava dall’uscita in sala di un film tratto da un libro”.
Più di tutti è il made in Italy ad avere vantaggio da questa realtà infatti, molto spesso, è tramite il cinema che gli autori hanno la possibilità di farsi conoscere anche all’estero: Riccardo Tozzi, presidente dell’Anica e titolare della Cattleya, ha in produzione il nuovo film di Salvatores, Educazione siberiana, tratto dal libro di Nicolai Lilin edito da Einaudi. Dal primo Moccia a Romanzo criminale, da Non ti muovere a La bestia nel cuore, Venuto al mondo, Gomorra, Tozzi ha sempre mostrato grande interesse per il rapporto pagina- cinema.
Però, lui questo non è del tutto positivo: “il fenomeno influenza il modo di scrivere più che in passato e non è una buona cosa né per l’editoria n per il cinema. Il romanzo deve avere vita propria altrimenti rischia di non interessare più”.
È probabile che in una crisi mondiale economica e di idee gli scrittori suppliscano la carenza degli sceneggiatori. Questa è la tesi con la quale concorda il regista Daniele Luchetti che ha al suo attivo film come La scuola dal libro di Starnone, Piccoli maestri da Meneghello, Mio fratello è figlio unico da Il fasciocomunista di Pennacchi: “Ci sono dei buoni libri che non sarebbero mai dei buoni film. Quanto alla scrittura, indubbiamente è influenzata dal cinema in una società dell’immagine. Gli sceneggiatori italiani? Mancano è vero, se ne conteranno, di validi, in tutto una quindicina: questo perché soprattutto ora che giriamo un quarto dei film di una volta, vivere di sceneggiature è diventato un lusso. Ho sempre pensato che il libro vada tradito e non ho cambiato idea”.
“Noi scartiamo subito romanzi che somigliano già ad adattamenti cinematografici” afferma Raffaello Avanzini, della Newton Compton. “A far registrare impennate sono soprattutto i classici e noi ne abbiamo parecchi. Ora tocca a Grandi Speranze di Dickens e Anna Karenina in edizione economica dal quale Joe Wright ha girato un film”. Per quanto riguarda l’esperienza della sua casa editrice col mercato italiano dice “Di molti titoli abbiamo venduto i diritti cinematografici; dai thriller di Massimo Lugli aIl mercante di libri maledetti di Marcello Simoni a Il divoratore di Lorenza Ghinelli”. E, per l’editore, conta anche il divenire una sorta di merchandising del film, infatti Avanzini ammette “la nuova grafica di Paradiso amaro, portato al cinema da Clooney, ci ha fatto vendere 50 mila copie in più”.