Tff 30 – ginger e rosa: recensione film

A CHIUSURA DELLA KERMESSE TORINESE IL NUOVO LUNGOMETRAGGIO DI SALLY POTTER

Nascere nello stesso giorno può essere una casualità, quasi sempre, ma se il giorno in questione è il 6 agosto 1945, data in cui l’atomica devastò Hiroshima agli sgoccioli della Seconda Guerra Mondiale, allora la casualità lascia il posto al destino: è questo l’Incipit che la regista Sally Potter ha voluto usare per il suo ultimo film Ginger e Rosa. Incipit forse non così nuovo ma comunque interessante che si perde nei minuti di un film che in certi momenti si dilatano all’infinito nella noia.

Ginger (Elle Flenning bravissima nel ruolo) e Rosa sono due ragazze diciassettenni. La prima figlia di due attivisti è stata cresciuta con un’educazione tradizionale, quella della madre, e una più libertina, quella del padre, che diventa movente di un forte scontro con la genitrice basato sull’idea della ragazza di essere rea di aver abbandonato le sue ideologie per diventare il classico angelo del focolare. Lo scontro cambia direzione nel momento in cui Rosa intraprende una relazione sentimentale col padre di Ginger.

Il film è un ibrido tra un racconto di formazione e una commedia elegante che però pecca di una scrittura fragile nonostante la grandezza del cast che lo interpreta e la perfezione registica di Sally Potter che con il suo minimalismo crea una serie di primi piani e dettagli che prendono il posto delle parole, dando un senso profondo e sofisticato a moltissime scene.

Purtroppo però l’idea che queste due ragazze siano metafora di un grande cambiamento, proprio in virtù del giorno della loro nascita, che non avverrà per colpa di un egoismo costante all’interno della mente di chi il tempo ha reso avvezzo alla “normalità” sembra davvero poca cosa e scomodare Hiroshima risulta eccessivo, poco funzionale al racconto e, alla fine, forzatamente retorico.

Non mancano comunque nel film personaggi interessanti (su tutti i tre attivisti/intellettuali interpretati da tre mostri sacri come Timothy Spall, Oliver Platt e Annette Benning) che però perdono all’interno della pellicola la loro ragion d’essere.

Il lungometraggio, che sul prefinale tocca il punto più alto in cui tuti i personaggi toccano livelli molto alti di intensità drammatica, si disperde senza possibilità di appello su un finale troppo banale che consacra la pellicola come una delle tantissime occasioni sprecate della settima arte.

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