ALBANESE SI FA IN TRE MA IL RISULTATO NON È ABBASTANZA
GENERE: commedia
DATA DI USCITA: 13 dicembre 2012
Che Albanese fosse un comico navigato e amato dal pubblico era un dato di fatto ampiamente riconosciuto dopo i successi, in tv ed a teatro, della serie di personaggi da lui interpretati nella lunga carriera. E la prova del fuoco del lungometraggio dedicato al suo cavallo di battaglia degli ultimi anni, il Cetto La Qualunque protagonista di Qualunquemente, aveva ulteriormente sancito un plebiscito popolare di apprezzamenti e critiche positive.
In Tutto Tutto Niente Niente, il comico compie però un ardito salto mortale riproponendo sul grande schermo un classico della commedia italiana: il racconto episodico ad intreccio. In questo caso di tre maschere da lui inventate e per l’occasione rivisitate ed inserite nel contesto dell’italica politica: con la p minuscola.
Sullo sfondo di un “immaginario” (quanto in realtà?) presente che si fa sberleffi della cosiddetta politica del palazzo, dove tutto si muove per far si che non cambi nulla, si intrecciano tre storie. Quella di Cetto, il politico “disinvolto”, quella di Rodolfo Favaretto, leghista che rincorre il sogno secessionista del nord, vivendo con il commercio di migranti clandestini e quella di Frengo Stoppato, personaggio storico di Albanese e qui rivisitato nella figura di un moderno figlio dei fiori incastrato da una madre ingombrante (una sorprendete Lunetta Savino) e alla ricerca di un sogno semplice: riformare la chiesa e guadagnarsi la beatitudine.
I tre loschi figuri si ritrovano per cause di forza maggiore a diventare deputati della Repubblica, carica ambitissima e per la quale in cambio di vitalizi, autisti, stipendi ricchi ed “escort regalo” basta solamente votare quello che gli viene ordinato.
Sfortunatamente però i neo eletti risulteranno mine impazzite ingestibili per il terribile Sottosegretario (Fabrizio Bentivoglio), che tesse le trame necessarie a tenere in piedi il governo.
Albanese si ingegna e dimostra ecletticità e fantasia da vendere. Diretto dal fido Giulio Manfredonia, che ne esalta ancora una volta le doti da trasformista nelle scene in cui compare con i tre personaggi in contemporanea sullo schermo.
Ma rispetto al film precedente, questo risente di una trasposizione grottesca dell’esistente che ormai ha superato la fantasia ed è diventata triste realtà. E lo spettatore più che ridere si ritrova inconsciamente a riflettere e ad indignarsi per cotale rappresentazione.
Peccato, perché il potenziale di Albanese meriterebbe ben altri palcoscenici.