NEL 2013 IL CINEMA INDIANO FA UN SECOLO E I FESTEGGIAMENTI IMPAZZANO
A onor del vero la data certa in cui il cinema indiano compie gli anni non è facile da stabilire. Di sicuro era il 1913 quando il primo lungometraggio muto venne interamente girato in India da Raja Harishchandra ma sul mese esatto vi sono opinioni contrastanti che lo stabiliscono comunque tra maggio o aprile.
I festeggiamenti per il secolo dell’avvento della settima arte in India sono iniziati un anno fa e finiranno a maggio: Festival, rassegne e galà sono in pieno svolgimento, e a Calcutta in questi giorni si proietta una rassegna di vecchi film d’autore in bianco e nero. In omaggio agli albori del cinema Bengali, verranno rappresentati dentro a tendoni identici a quelli che si adoperavano all’epoca della loro uscita. Perché se da questa parte del mondo cinema indiano fa sempre o quasi rima con Bollywood, in India non è affatto così.
In ogni pese il cinema riflette molto spesso la complessità della società dalla quale nasce e nel caso dell’India rispecchia alla perfezione la variopinta realtà del paese: ci sono i film Bengali girati a Calcutta, patria del cinema impegnato i cui padri fondatori si sono dichiaratamente ispirati al Neorealismo italiano. Ci sono i film Tamil, i film Telugu, i film in Bhojpuri per citare alla rinfusa. E poi c’è Bollywood, crasi tra Bombay e Hollywood: la fabbrica dei sogni made-in-India. Bollywood non è soltanto un insieme di studios, non è un modo di fare cinema. Bollywood, per gli indiani, è molto, ma molto di più. O, almeno, lo è stato per la maggior parte di questi cento anni in cui il cinema è stato una follia collettiva capace di scatenare masse ed entusiasmi e di far sorgere addirittura templi dedicati agli attori più famosi, come Amitabh Bachchan.
L’Occidente è ormai lontano da queste forme di divismo così eccessivo che forse si sono fermate negli anni di Rodolfo Valentino, ma bisogna tenere conto che le produzioni bollywoodiane danno vita a un migliaio di film l’anno portando al cinema quindici milioni di persone al giorno per un giro di soldi che supera il miliardo di dollari l’anno e che recentemente ha superato gli incassi della madre d’occidente Hollywood.
Il mercato del cinema indiano popolare è stato per anni finanziato dalla mafia per riciclare, tramite i proventi, i soldi derivanti dal contrabbando e dal traffico di armi e di droga. In quel periodo le produzioni puntavano specialmente su quelli che vengono chiamati marsala movie: grandi drammi che ricordano quelli partenopei o alla Rambo, ambientati sempre nei confini dell’enorme paese e di una durata media di tre ore scandita da ricchi intermezzi musicali. Un tipo di cinema estremamente popolare creato appositamente per gli incassi. Questa tipologia di film ancora oggi viene prodotta ma è da qualche anno che, anche a Mumbai, il cinema indiano sta cercando di ambientare le proprie pellicole in altre parti del mondo per ampliare il suo mercato verso occidente creando, grazie anche all’avvento di internet e della globalizzazione, film che possano essere apprezzati al di fuori dei confini.
In più,c’è da sottolineare che da qualche anno una corrente di cinema indipendente indiano sta facendo sentire la sua voce per cambiare le limitazioni dei dettami di Bollywood che non tollerava, fino a poco tempo fa, neanche un bacio tra i protagonisti dei suoi immensi drammi. Piano piano il cinema indiano si sta facendo strada rischiando di diventare un serio nemico per mamma Hollywood.