Fukushame – il giappone perduto: recensione film

ALESSANDRO TESEI CI PORTA, CON IL SUO DOCUMENTARIO, NEL CUORE DELLA NO-GO ZONE INTORNO ALLA CENTRALE NUCLARE DI FUKUSHIMA  

GENERE: documentario 

DATA DI SUCITA: 23 gennaio 

Sembra calato il sipario mediatico sul danneggiamento della centrale nucleare nipponica di Fukushima senza pensare che, letteralmente, le sue conseguenze sono ancora nell’aria. A riaprire la questione, o a tentare di raccontarla, ci hanno pensato alcuni documentari, molti dei quali saranno presentati al prossimo Festival di Berlino.

Tra i cineasti che hanno voluto parlare della tragedia spicca l’italiano Alessandro Tesei che, insieme al videoartista e sceneggiatore Matteo Gagliardi, è entrato nelle viscere della tragedia raccogliendo testimonianze, scegliendo filmati di repertorio e entrando con la telecamera all’interno della no-go zone.

Il risultato di questo puzzle è Fukushame: il Giappone perduto un docu-road movie che ricostruisce l’impatto che l’incidente ancora ha sulle popolazioni locali, e lo fa a più livelli raccogliendo le testimonianze non solo sulla paura della contaminazione ma anche sullo sfaldamento sociale che il tragico evento ha portato.

Con un uso del grandangolo volutamente eccessivo per rendere il documentario iper realistico Tesei vuole rompere il silenzio creatosi attorno a questo avvenimento inserendo all’interno della pellicola anche una polemica politica che sta soprattutto nella testimonianza del premier Naoto Kan che si pente, ad oggi, di aver nascosto alla popolazione la gravità della tragedia. Ovviamente emergono anche gli interessi economici, avvoltoi di qualunque società che si rispetti.

Ma forse quello che indigna di più lo spettatore è l’intervista che i responsabili della Tepco si sono rifiutati di fare. Bastava solo questo a far capire che tutto il mondo è paese nella comune omertà.

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