26 ANNI FA MORIVA IL GENIO DELLA POP ART: INDIMENTICABILE ANCHE IL SUO CONTRIBUTO ALLA SETTIMA ARTE
Nessun movimento artistico del Secondo dopoguerra ha mai goduto dell’importanza di cui si è potuta vantare la Pop Art americana, di cui Andy Warhol era ed è il genio assoluto. Oggi ricorre il 26° anniversario della sua morte e Film4Life vuole ricordarlo, parlandovi del suo amore per il cinema, discorso a volte troppo spesso accantonato. Infatti, la sperimentazione cinematografica di Warhol è da considerarsi uno dei contributi più fondamentali nella seconda metà del ventesimo secolo e il cinema contemporaneo di tanti registi come Kenneth Anger, deve molto alle sue opere. Il vate della Pop Art è iniziato ad interessarsi alla settima arte solo dopo il 1963, arrivando a realizzare anche un film alla settimana, tutti ideati e realizzati presso la sua Silver Factory, sulla 47° strada, punto di incontro per gli artisti underground del periodo.
I primi film prodotti da Warhol vengono definiti minimali, e sono caratterizzati da riprese rigorosamente fisse senza utilizzare il montaggio, rigorosamente bandito. “Trovo il montaggio troppo stancante […] lascio che la camera funzioni fino a che la pellicola finisce, così posso guardare le persone per come sono veramente”. Warhol era affascinato dalle possibilità di riproduzione del reale che il cinema permette, e per questo decide di indagare la dimensione spaziale e temporale del mezzo, dilatandole al massimo la sua efficacia e affidando alla mdp la stessa creazione del film. L’obiettivo non è solo quello di entrare nell’intimità del personaggio ripreso ma anche quello di colpire lo stesso spettatore e farlo riflettere. I titoli di tali ritratti filmati sono, Sleep (1963), sei ore in cui il regista riprende il poeta Joe Giorno che dorme, Kiss (1963), cinquanta minuti di uomini e donne, uomini e uomini, donne e donne che si baciano, Eat (1963), 45 minuti su un uomo che mangia un enorme fungo, Empire (1964), inquadratura di otto ore dell’Empire State Building. Tutti sono film silenziosi, in cui Warhol non si cura di occultare il rumore della mdp durante le riprese; sono in 16mm e vengono proiettati, per disposizione dello stesso filmmaker, a una velocità di 16 f/s anziché 24 f/s, con l’effetto di dilatare ulteriormente la durata temporale dell’immagine. Un posto importante in questo tipo di produzione, riguarda i cinquecento rulli di Screen Test, film ritratti di personaggi in vista alla Factory che vengono ripresi con camera fissa per tre minuti su un fondo nero. Warhol chiede ad ogni partecipante del provino (screen-test) di fissare la camera, di non muoversi durante la ripresa e di non sbattere le ciglia, restando con lo sguardo fisso. Ritratti filmati interessanti, prefigurazione di una video-arte che ancora doveva nascere, screen-test su cui il Moma di New York ha addirittura organizzato una mostra. L’idea è quella di fissare in un ritratto un personaggio che compie un’azione banale, ma che per Warhol ha un importante significato. L’idea di tali ritratti è stata poi oggetto d’ispirazione per molti contemporanei tra cui Robert Wilson con i suoi Voom Portraits.
Dal 1965 Warhol sperimenta il sonoro e lo fa in presa diretta, con la tecnica del sync-sound che gli permette di registrare l’audio su pellicola. Vinyl (1965), interpretato da Gerard Malanga e realizzato sulla base di A Clockwork Orange di Anthony Burgess, e lo straordinario Chelsea Girls (1966), la cui lavorazione coinvolse l’intera Factory.
Con i film sonori Warhol arriva a palesare, attraverso il dialogo e la presenza di attori nudi, il suo discorso sul sesso, che appare privo di pregiudizi e lontano dalla tentazione pornografica, come è il caso di My Hustler (1965), storia incentrata sulle vicissitudini di una marchetta, e Nude Restaurant (1967), film ambientato in un Fast Food dove tutti i presenti sono nudi e impegnati in estenuanti monologhi sul sesso, la politica e gli Hippy.
La fortuna di Chelsea Girls lo spinge alla collaborazione con Paul Morrissey con il quale inizia a produrre film destinati a una fruizione più ampia rispetto ai canali dell’underground, come Lonesome Cowboys (1968).
In questi film il linguaggio cinematografico si fa più articolato, Warhol muove la mdp a 360°, effettua delle improvvise zoomate, frammenta il dialogo, utilizza nel montaggio la tecnica dello strobe-cut.
Molti ritengono che Warhol sia stato uno degli individui che meglio hanno inteso il potere del cinema, facendone un uso intelligente e profondamente contemporaneo. Non possiamo che essere d’accordo, perché Warhol era uno sperimentatore come pochi altri e ha fatto negli anni ’60 quello che molti altri ancora oggi non sono riusciti a fare.
Lo ricordiamo con uno screen-test dedicato alla bella e giovane ereditiera californiana Edie Sedgwick, musa ispiratrice di ben 11 film di Andy Warhol, la quale poco dopo, morì di overdose di barbiturici, a soli 28 anni.