IN GARA CON LA CONTROVERSA STORIA DI UNA AMORE TRA UN BAMBINO E UN PRETE
Alla regista polacca Małgośka Szumowska la storia di W Imie-In the name of è venuta in mente quattro anni fa dopo aver letto sul giornale un trafiletto di cronaca dove un bambino aveva ucciso un prete.
La Szumowska non è nuova a film che raccontano storie estremamente contemporanee e pronte a dividere l’opinione pubblica facendo storcere il naso alla sua parte conservatrice. Già con Elles infatti la regista aveva esplorato dall’interno il mondo della prostituzione femminile.
Adam, il protagonista di In the Name of (il bravissimo Andrzej Chyra), è un giovane parroco dalla fede fervente impegnato a gestire un piccolo centro di recupero per ragazzi difficili che fornisca un’alternativa al riformatorio. Adam è un uomo sportivo. Le sue valvole di sfogo per smaltire l’energia sessuale repressa sono il lavoro manuale, il calcio, il nuoto e le lunghissime corse quotidiane nei boschi che gli permettono di scrollarsi di dosso temporaneamente la tempesta di passioni che lo lacera. I giovani con cui si trova a interagire rappresentano una continua tentazione alla rottura del suo voto di castità, ma è la comparsa di un nuovo arrivato, violento e provocatore, a spezzare il fragile equilibrio interiore del prete.
La grandezza della cineasta polacca sta nell’affrontare un tema così difficile senza alcun attacco palese all’istituzione della Chiesa e ai suoi limiti. La regista non racconta la storia di un prete ma prima di tutto racconta la storia di un uomo in crisi con la sua scelta. Di un essere umano che vede sciogliersi tra le dita la certezza di ciò che è.
La storia, al di là delle polemica che creerà è prima di tutto la storia di una persona e non di un personaggio.