Die hard – un buon giorno per morire: recensione film

TORNA JOHN MACCLANE, AL QUINTO CAPITOLO DELLA SUA CARRIERA, STAVOLTA SENZA FASTI 

GENERE: azione 

USCITA: 14 febbraio 2013 

L’ispirazione è cruciale nella vita. Pochi secondi per pensare, altrettanti per imbracciare un arma e mirare, una frazione infinitesimale di tempo per premere il grilletto e…bam: yippy ka yeh, figlio di puttana. Avversario a terra, il male sconfitto, vince ancora per ko tecnico il poliziotto yankee più tosto del pianeta: John MacClane. Ovvero Bruce Willis, arrivato ad interpretare per la quinta volta in carriera il personaggio cult della sua storia cinematografica, eroe cappa & piombo nel film Die Hard – Un buon giorno per morire, detto tra noi, il peggiore della serie.

Ci vuole ispirazione per scrivere un film in maniera precisa, ci vuole ispirazione e talento, non solo vile mestieranza per dirigere un action di qualità, ci vuole ispirazione e soprattutto voglia nel doppiare un icona hard boiled con MacClane e non ridurlo ad una macchietta, quasi fosse un playmobil sfocato sul grande schermo. John Moore, nome anonimo per un film deludente, è un regista di passaggio che quasi “distrugge” un’intera spettacolare quadrilogia, fatta di botti e botte da orbi, inseguimenti, granate, sangue e tonnellate di piombo, culminate nel manifesto anni 90 inciso nel poster di lancio: duri a morire.

Non è solo lui chiaramente a far acqua, le battute (tra commedia e pseudo dramma) sono degne di un C-movie recuperato in quel chioschetto vintage nel paese dei nonni,  i personaggi scritti malissimo e va detto, il cattivo proprio non regge il confronto, non essendo minimamente all’altezza di un mostro sacro, seppur invecchiato, come John the cop. Nonostante il colpo di scena telefonato, l’intera trasferta moscovita è resa vana e fatica sprecata, specie se ci aggiungiamo un Claudio Sorrentino che stavolta rende un pessimo omaggio nel prestare la voce a Bruce, mai così unbreakable, ci spiace dirlo.

Si riunisce la MacClane family, padre e figlio entrato nella CIA, si allea la famiglia MacClane e invece di ritirarsi a casetta, il clan formato da solo due elementi-ma ultra pulp, decide di intraprendere una personale lotta per la giustizia (ovvero l’uccisione parossistica a fin di copione) contro la criminalità, sia quella organizzata, che quella improvvisata. Uranio impoverito, guerriglia cecena, doppiogiochisti di varia natura e quell’aurea di immortalità celata dietro al distintivo. Anche stavolta i segni caratteristici della saga ci sono tutti, ma il risultato delude e il rientro a casa appare meno eroico. Non c’è gloria senza ispirazione. 

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