TRA I DOCUMENTARI CANDIDATI AGLI OSCAR SONO DUE QUELLI CHE RACCONTANO DELLA SITUAZIONE TRA ISRAELE E PALESTINA CON i DIVERSI PUNTI DI VISTA
Tra i documentari candidati agli Oscar quest’anno due sono quelli che parlano della questione tra Israele e Palestina con toni e opinioni nettamente diverse e divergenti.
Il documentario di matrice prettamente palestinese è 5 broken cameras, opera che mostra la storia di un uomo che riprende gli insediamenti israeliani ai confini del suo villaggio: sono 5 le videocamere che utilizza nel corso degli anni, tutte danneggiate durante i ripetuti scontri con l’esercito e che hanno dato poi lo spunto per il titolo del lavoro. Sono nate delle polemiche attorno a questa pellicola perché considerata una co-produzione israeliana: cosa vera, in effetti, per quanto riguarda i fondi.
Decisamente diverso, per ideali e contenuti, è The Gatekeepers docufilm che parla del Shin Bet, il servizio segreto israeliano che nelle riprese è raccontato dai suoi stessi dirigenti. Colpisce e fa rabbrividire allo stesso tempo la sincerità di questo lavoro: è la prima volta che un’organizzazione del genere viene descritta in modo così esplicito e senza nascondere nemmeno uno scandalo che ha portato alle dimissioni del capo Avraham Shalom o l’utilizzo della tortura o l’assassinio di chi è considerato un terrorista.
Questi due documentari insieme a The invisible war sono stati quelli più amati dalla critica, tra i 5 candidati agli Oscar.
The invisible war è un potentissimo atto di denuncia contro le violenze sessuali che avvengono nell’esercito statunitense e che colpiscono gli uomini e le donne al servizio della patria.
In pole position per l’ambita statuetta c’è però, in questa sezione, Searching for sugar man una docu-bio che ripercorre le vicende di Rodriguez, autore snobbato negli Stati Uniti ma amatissimo in Australia che col tempo è diventato anche colonna sonora, in Sudafrica, per chi si è battuto contro l’apartheid.
Nonostante le polemiche per gli eccellenti esclusi dalla categoria documentari, e ponendo un punto di domanda forse solo su How to survive a plague dove il racconto dell’impegno di un gruppo di attivisti per combattere l’epidemia dell’Aids negli anni 80-90 è forse un po’ fragile dal punto di vista artistico essendo stati usati per lo più filmati d’archivio per comporre il lavoro, bisogna dire che le scelte dell’Academy awards sono state politicamente ed esteticamente interessanti. E molto varie.