DAL ROMANZO DI ALESSANDRO D’AVENIA UN FILM D’AMORE E DOLORE
La vita, perché gli adolescenti, protagonisti indiscussi del film tratto dall’omonimo romanzo di Alessandro D’Avenia e diretto da Giacomo Campiotti, non possono che esserne sinonimo. La malattia, perché i capelli rossi di Beatrice è per colpa di una malattia che cadranno e perché è quella malattia che renderà improvvisamente Leo un coraggioso adulto. L’amore, perché è l’amore che spinge oltre ogni limite. Sono questi i temi del lungometraggio Bianca come il latte rossa come il sangue che sarà nella sale a partire dal prossimo 4 aprile che ha come interpreti Filippo Scicchitano, Aurora Ruffino, Gaia Weiss, Luca Argentero, Cecilia Dazzi e Flavio Insinna.
Ecco il nostro incontro col cast.
Fabio è (Bonifacci n.d.r.) stato difficile adattare il romanzo?
Fabio Bonifacci: Il romanzo possiede una grande intensità. È raccontato come un monologo interiore: tante emozioni e pochi fatti. Avevo il timore di tradire il libro, ma ho potuto confrontarmi con l’autore. Ho cambiato tante cose lasciando intatto lo spirito del romanzo, questa è stata la mia intenzione. Poi abbiamo voluto uscire da un genere netto: per la prima mezz’ora si ha una commedia su cui poi irrompe la malattia, questo perché eravamo d’accordo, anche con il regista, che la realtà sia questa: non solo dramma, non solo commedia.
Giacomo, perché sono passati otto anni prima che tornassi a dirigere un film al cinema? Giacomo Campiotti: ho fatto dei film per la televisione. Cerco di distinguere tra storie potenzialmente belle e storie che non mi interessano. Non considero la televisione di serie b, infatti sto girando un’altra fiction. Sono stato contento quando i produttori mi hanno chiesto di fare questo film, ma cerco di mettere lo stesso amore in tutti i miei lavori. Non conoscevo il libro e ho letto prima la sceneggiatura. Li ho trovati totalmente nelle mie corde, perché ho fatto tanti film sull’adolescenza e sento che sia un’età vivissima in me. Tra l’altro sono maestro anch’io, sono laureato in pedagogia e vivo in mezzo ai ragazzi perché mi stimolano più degli adulti.
C’è stato un grande lavoro per il cast: avevo visto Filippo in Scialla e mi era piaciuto; Gaia, invece, siamo andati a prenderla in Francia perché abbiamo fatto fatica a trovare un’attrice italiana che ci convincesse. Sul set il mio contributo non è stato tanto quello di far recitare gli attori, ma di non farli recitare: ognuno ha trovato delle corde che si adeguassero al personaggio e che permettessero loro di essere se stessi.
Filippo, che emozioni hai provato a interpretare il tuo personaggio?
Filippo Scicchitano: Innanzitutto una compassione verso la situazione che doveva affrontare Leo. Ho analizzato il contesto, la malattia, non in senso generale, ma come viene vista dal mio personaggio nel libro e nella sceneggiatura, anche se non ci si può aspettare che il romanzo sia uguale alla sceneggiatura. Questo per me è stato il primo film che ho fatto basato su una trasposizione ed è stato magnifico tuffarmi nell’esperienza dello studente.
Luca, Alessandro è un professore. Ti sei ispirato a lui per interpretare questo ruolo nel film?
Luca Argentero: Io e Alessandro abbiamo chiacchierato un po’ e quello che avevo visto era un grande amore per il lavoro che fa nella vita. Da questo è nata una vera empatia nei confronti dei ragazzi che, in quanto tali, riescono a godere di un’esperienza diversa e maggiore di quella degli adulti. Poi trovo che Alessandro sia una versione moderna del classico professore, anzi preferisco usare la parola educatore. La sua posizione non permette insicurezze, il dubbio genera subito sfiducia. Vedendo che nella sua classe gli venivano poste domande estremamente precise, mi sono meravigliato di questi ragazzi, così reattivi e pronti a collegare gli archetipi classici con la realtà.
Alessandro D’Avenia: Quando Luca è venuto nella mia classe, il dramma non sono state tanto le alunne quanto le colleghe. Per un momento avevo tutti gli occhi puntati addosso, ma non per me. Ho fatto leggere il manoscritto del libro a una quarta ginnasio di un liceo milanese. Ora li ho invitati a Roma a vedere il film, nell’anno della maturità. Mi hanno dato molti suggerimenti: la prima bozza, ad esempio, era sbilanciata sul rapporto tra le due ragazze; poi ho dato più spazio al personaggio di Nico e alla squadra di calcio.
Fabio e Cecilia, come vi siete trovati nei panni dei genitori?
Fabio Insinna: Ho letto sia il libro sia il copione e l’ho trovato doloroso, ci ho pianto su. Nel film ho voluto rendere un omaggio a mio padre: anch’io da giovane tornavo a casa alle quattro e non studiavo. Qui ho ribaltato il ruolo e in questo mi sono rivisto tanto in mio padre.
Cecilia Dazzi: Come genitori viviamo con apprensione l’incoscienza di nostro figlio. Però lo slancio con cui dona il midollo osseo è una cosa bellissima e abbiamo voluto rappresentare questo cambiamento.