Come pietra paziente: recensione film

ATIQ RAHIMI DIRIGE UN DELICATISSIMO RITRATTO DI DONNA NELL’AFGHANISTAN DI OGGI

GENERE. drammatico

DATA DI SUCITA: 27 marzo

Donne non si nasce, lo si diventa scriveva Simone De Beauvoir madre di quell’emancipazione culturale femminile che, ancora oggi, in alcuni paesi islamici non è arrivata o costa carissima.

Ed è proprio in uno di questi paesi, a Kabul in Afghanistan, che tutta in una stanza si svolge la narrazione del film Come pietra paziente tratto dall’omonimo romanzo di Atiq Rahimi e da lui sceneggiato e diretto.

Una giovane moglie si ritrova ad accudire il marito in coma. Un uomo che quando aveva gli occhi aperti è stato assente come tutti gli eroi di guerra. Dopo essere costretta a vendersi, per soldi e piacere a un soldato, la donna si apre al suo compagno di vita raccontandosi ed emancipandosi alla vita.

Il film è interpretato da una straordinaria Golshifteh Farahani che porta sulle sue spalle l’intero lungometraggio ricco di monologhi che pian piano scavano nel personaggio seguito in ogni momento dalla telecamera alla quale Rahimi affida a una moltitudine di piano sequenza.

La Farahani non è mai abbandonata dalla telecamera e oltre che con la voce racconta la sua storia e la sua rinascita anche con un gesticolare delicato e con l’espressività degli occhi. La sua è una rinascita elegante che contrasta con il frastuono della guerra fuori dalla sua porta e allo stesso tempo con il silenzio totale di quell’uomo inerme che è la pietra paziente a cui la donna si racconta e grazie alla quale trova la libertà di esprimersi.

Come pietra paziente è un film che ha come unica pecca quella di mancare di dinamismo eppure attrae inesorabilmente lo spettatore per merito della grazia e la forza che il racconto ha in sé.

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