FOCUS SUL FILM CHE LO HA CONSACRATO NEL MONDO DEL CINEMA A LIVELLO INTERNAZIONALE
Quando si dice che le feste sono fatte per conoscere persone, non è tanto per dire. Se Quentin Tarantino non fosse andato a quel determinato party hollywoodiano, probabilmente non avrebbe mai incontrato Lawrence Bender, e non avrebbe mai realizzato Le Iene – Reservoir Dogs, conquistando non solo il successo grazie al film, ma anche un’attenzione particolare da parte della critica.
Tra un bicchiere e l’altro infatti, il produttore americano, che lo seguirà poi nei futuri progetti scommettendo in prima persona su quello che al tempo era un semplice neo-regista come tanti, gli importanti contatti del mondo cinematografico, le persone giuste che lo aiuteranno a trovare finanziamenti per il primo film di quella che verrà rinominata la Trilogia Pulp – insieme a Una vita al massimo e Pulp Fiction.
L’opera esce nelle sale nel 1992 e viene considerata subito un capolavoro, applaudita all’unisono da critica e pubblico sebbene non siano mancate critiche per la violenza sanguinaria, i temi forti e i dialoghi intriganti quanto volgari.
La storia intrecciata e piena di flashback, classico stile tarantiniano, è difficile da raccontare. Joe Cabot (Lawrence Tierney) ha bisogno di una squadra di criminali professionisti per rubare un carico di diamanti. I 6 malavitosi scelti per il colpo tra loro non si conoscono, e non devono neanche sapere niente delle loro vite private. Nomi in codice, è l’ordine del giorno della prima riunione. Conosciamo così Mr White (Harvey Keitel), Mr Blonde (Michael Madsen), Mr Pink (Steve Buscemi), Mr Brown (Quentin Tarantino), Mr Blue (Edward Bunker) e Mr Orange (Tim Roth). Istruiti per mettere a segno crimini specializzati, qualcosa quel giorno va storto. Comincia così la scena centrale del film, ovvero quella in cui mano a mano i 6 uomini si ritrovano nel capannone da utilizzare in caso di imprevisto. Inizia infatti un confronto tra loro, alla ricerca della spia infiltrata.
All’interno del film di debutto, possiamo scovare tutti i temi cari al regista nonché l’occhio minuzioso della sua macchina da presa. La narrazione non cronologica delle vicende,; il rosso che caratterizza le scene; la violenza cinica e senza limiti anche se non sempre esplicitata; la durezza del linguaggio che non risparmia parole forti e discriminatorie; un’introspezione psicologica approfondita dei personaggi che pur in gran numero vengono analizzati singolarmente. Unico elemento mancante, ma comunque accennato, è quello dell’importanza data alla figura femminile.
Solo un fuoriclasse del cinema come lui, paragonabile ad altre poche grandi personalità geniali della settima arte, poteva centrare il bersaglio al primo colpo. E che colpo: da veri professionisti, esattamente come i suoi personaggi.