“SE DOVESSI IMMAGINARE UN MONDO MIGLIORE BUTTEREI DALLA TORRE LA SORDITÀ DELLA GENTE”
Aquilana di nascita, Annalisa De Simone inizia la sua carriera come ballerina e coreografa.
Dopo tanto teatro, una buona dose di televisione e cinema l’attrice scrive Solo andata un romanzo, edito da Bldini & Castoldi, che racconta la storia di Edoardo Corsini, giovane scrittore italiano che ha trovato il successo a Parigi e a un certo punto della sua vita si trova costretto a fare i conti con il proprio passato che riaffiora con Anne, primo amore, e soprattutto con il proprio presente.
Un romanzo da leggere per attraversare Parigi con gli occhi del lettore e appassionarsi a una storia d’amore e di vita che non è come tante.
Abbiamo incontrato l’autrice.
La danza, il cinema e la fiction e ora un libro. Parlando di te si potrebbe usare il neologismo attoscrittrice. Come è nata l’idea di Solo andata e quanto e in quanto tempo, tra i tuoi numerosi impegni, sei riuscita a dar vita al romanzo?
Più che di un’idea fulminante tipo una folgorazione, la scrittura era qualcosa che coltivavo da tempo. Lo facevo per me, ne avevo cura, ogni tanto la carezzavo per concedermi uno sfogo o per arrivare alla persona a cui volevo indirizzare le mie frasi. E’ stato un percorso lento che mi ha portato ad osare un romanzo, un percorso che non vorrei arrivasse al capolinea con Solo Andata, ma che spero continui perché – devo dire – che mi sento comoda nella scrittura.
Due donne e un uomo sono i personaggi principali di questo romanzo. A qualcuno di loro hai donato delle tue caratteristiche, pregi o difetti?
Tutti i personaggi sono trasfigurazioni di alcune parti di me, quelle che contengo, quelle di cui soffro, quelle che vorrei accentuare. Come si fa a raccontare degli altri senza partire da sé? Non parlo di esperienza di vita vissuta, ma di impressioni che maturi in silenzio e che, di colpo e senza accorgertene, quando scrivi vengono fuori e ti guidano.
La storia di Solo andata è ambientata in due città: Roma e Parigi quella dove vivi e quella dove hai vissuto. Qual è il tuo rapporto con queste metropoli e con la tua città natale, l’Aquila, che come sappiamo è ancora straziata da forti cicatrici?
Con ognuna di loro ho un rapporto diverso. L’Aquila è un porto sfregiato, è ricordo e rabbia, è desolazione ma è anche famiglia. Roma è casa, ormai dopo tanti anni. Parigi credo sia ossigeno, per mettere in atto una fuga, sentire la lontananza e godermi la solitudine.
Solo andata ha tutte le carte in regola per diventare sceneggiatura di un film. Qualora accadesse vorresti esserne regista o attrice?
Non sono in grado di dirigere un film, devo capire ancora troppe cose. Ma se sapessi essere regista, ho già in mente come vedrei Solo Andata. Un film concitato, frenetico, turbinoso, dove le immagini scandiscono il tempo interiore della frenesia e del disorientamento dei personaggi.
Da attrice ti piacerebbe interpretare più Anne o Camille?
Sono innamorata di Anne. La immagino un gatto. Una donna felina, sinuosa, autosufficiente, capace di grandi fusa ma per natura irrimediabilmente forastica.
Domanda da pistola alla tempia: se fossi obbligata a scegliere opteresti per la carriera da attrice o la neo carriera da scrittrice?
Sono lavori compensativi. Quello da attrice ti obbliga alla socialità e all’immediatezza della performance. La scrittura ti permette di dirigere il tempo come meglio credi, di goderti le pause e di chiuderti in casa per immergerti nei tuoi disegni. Vorrei coltivarli entrambi, ma davanti una pistola per salvarmi la vita le direi scrittrice.
Quali difficoltà incontra una giovane donna come te nell’affrontare la scelta di essere artista sia di cinema che ora nell’ambito dell’editoria in un paese come l’Italia dove questi due settori sono in seria difficoltà?
Tante, troppe, sfibranti, ruvide e onnipresenti. Detesto chi descrive un mondo fatto di opportunità e senso del merito. Non è così, ma alla fine la fatica fa parte del gioco. Certo è che se dovessi immaginare un mondo migliore butterei dalla torre la sordità della gente. E’ quella che mi fa più male. Essere sordi ad un progetto artistico, non essere disponibili a prendersi del tempo per valutare le doti di una persona è la violenza più grande. Però – mi scusi – non voglio finire l’intervista con un sentimento di rabbia. Ce n’è già troppa in giro. Posso chiuderla dicendo che questo piccolo taglio di sole di oggi me lo godo, senza pensare alle nuvole di domani. E almeno per qualche minuto mi riscaldo.