La cittÀ ideale: incontro con luigi lo cascio

L’ATTORE PER LA PRIMA VOLTA DIETRO LA MACCHINA DA PRESA SCEGLIE IL TEMA DELLA GIUSTIZIA “PERCHÉ È Lì CHE LA RICERCA DELLA VERITÀ DEVE ARRIVARE A UN PUNTO DEFINITIVO”

Presentato come unico film italiano nell’ambito della settimana della critica alla scorsa Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, La città ideale è il primo film che vede Luigi Lo Cascio nel duplice ruolo di attore e regista.

Il film racconta le vicende di Michele Grassadonia  un onesto cittadino che per via del suo amore per l’ambiente è visto di cattivo occhio da chi lo circonda: in casa sua non utilizza corrente, né acqua corrente, ricorrendo a quella piovana. Quando un giorno, alla guida d’una macchina, soccorre un ferito per strada viene accusato d’averlo investito: è a questo punto che Michele cade in un incubo ad occhi aperti in cui dovrà rivedere ciò in cui crede, sbandierando, non sempre in modo infallibile, il suo bisogno di verità e giustizia.

Ecco cosa ci ha raccontato il, per la prima volta, regista e attore Luigi Lo Cascio su questa sua nuova e inedita avventura cinematografica in cui ha un duplice ruolo.

Luigi, tuo film tratta temi attuali: antitesi tra polizia e cittadino e magistratura spesso discutibile…

Luigi Lo Cascio: Sono contento di come il film venga visto e recepito. Pensi sia un pensiero tuo e poi diventa lo sguardo dello spettatore. Non è, però, un film contro la giustizia o i magistrati. Ho scelto il tema della giustizia perché lì la ricerca della verità deve arrivare ad un punto definitivo, per tutti. Non attacco la magistratura. In realtà è ben vista dato che il mio personaggio, magari contrariamente alla realtà, riceve subito l’avviso di garanzia o viene subito ascoltato da chi di dovere. Spesso chi racconta un fatto apparentemente inverosimile viene subito giudicato male, vuol dire che quel fatto non esiste. Io cercavo la proporzione. Della giustizia bisogna tornare a interrogarsi senza essere faziosi, senza doversi attaccare a prese di posizione assolute.

A Venezia il film è stato definito un thriller morale, sei d’accordo con questa interpretazione?

Luigi Lo Cascio: Si, mi è piaciuta moltissimo. È stato bello tornare a Venezia come regista, in una sezione così prestigiosa come “La settimana della critica” e come unico film italiano. Il film ha la fisionomia di un thriller perché c’è un mistero e la conseguente ricerca della verità. L’aggettivo morale è adatto perché la ricerca della verità degli altri, quella giudiziaria, è il pretesto per la ricerca della verità individuale.

Oltre all’idea di giustizia l’aspetto ambientalista è molto forte nella pellicola. È così anche nella sua vita? E perché hai scelto proprio Siena come “città ideale”?

Luigi Lo Cascio: Io e Michele abbiamo molto in comune. La madre, gli stessi vestiti, l’amore per la marcia. L’ecologia mi sta a cuore anche se quello di Grassadonia è un ecologismo esasperato. Siena, mentre scrivevo la sceneggiatura, è sempre stata “la città ideale”. È così vicina alle sue origini, a misura d’uomo, grazie anche alle sue contrade. Ogni elemento ha una sua storia, è una città conclusa, autosufficiente e a testimoniarlo ci sono anche le sue mura medievali.

Nel film sono palesi forti influenze letterarie e cinematografiche. Da Kafka a Indagine su un cittadino al di sopra di ogni  sospetto di Elio Petri…

Luigi Lo Cascio: La sceneggiatura è scritta da me, porto al suo interno tutte le mie lacune ma anche le mie passioni. Avendo lavorato a teatro, ho fatto una rilettura di un testo di Kafka, La talpa, e sono rimasto colpito dalle atmosfere. Con Kafka c’è lo sprofondamento nell’incubo già dalla prima pagina mentre nel film accade lentamente. Mi hanno colpito, inoltre, i suoi diari e gli aforismi. Uno in particolare ben si sposa con il significato del film: “L’uomo deve produrre costantemente la verità dall’interno”. A posteriori anche rileggere Pirandello con “Uno, nessuno e centomila” mi ha fatto capire dove nascevano certi pensieri.

Com’è essere sia attore che regista? L’idea è nata fin dall’inizio con te in questo duplice ruolo?

Luigi Lo Cascio: No, l’artefice è stato Angelo Barbagallo. Quando scrivevo del personaggio della madre pensavo alla mia e lo stesso è accaduto per il personaggio dell’avvocato, in testa avevo mio zio. Invece scrivendo il personaggio di Michele Grassadonia non avevo me in testa. Angelo, durante il nostro primo incontro, ha detto che avrei dovuto interpretarlo io perché così il film sarebbe stato ancora più personale. È stato utile per me recitare, andavo sul set tranquillo, sapendo di avere una certa pratica e questo mi ha permesso di spostare il baricentro della paura della regia da un’altra parte. Recitare è stato un vantaggio.

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